CAPITOLO XVIII. 565 della Romagna : il duca di Ferrara ed il marchese di [Mantova ripresero gli antichi loro dominii, ed i miseri avanzi della veneta' armata, raccoglievansi a Mestre, sulle rive della laguna ! — Strana cosa, invero, il vedere con quanta indifferenza nelle provineie siasi combattuto pei Veneziani al punto che, al primo avvicinarsi del nemico, fu una generale defezione ! Così improvisa e grave sconfitta in terraferma, incusse nella capitale il più profondo dolore, la più disperata costernazione. Correvano i cittadini per le pubbliche piazze, si affollavano nelle Chiese; s’incontravano gli amici senza •punto riconoscersi ; l’una all’altra si succedevano le tristi novelle, senza lasciar tempo di mezzo. Ora è Tarmala Pontificia, giunta a Ravenna; poi il marchese di Mantova che aveva ripreso Asola e Lonalo ; quindi il duca di Ferrara, che invadeva il Polesine, e Trieste che, coll’aiuto dei contadini dei dintorni, scacciava la veneta guarnigione. S’aggiungevano i tradimenti: un patrizio, per nome Soncino Benzone, aveva perfidamente ceduta la città di Crema, cui presiedeva, per arruolarsi tra le milizie francesi.— Ma, grazie al cielo, questo Giuda morì sulla forca. — Anche nella Gorizia l’armata veneta veniva infiacchendosi, per cotidiane deserzioni, per cui il redi Francia potè spingersi sino a Fusina , d’onde ha lenlalQ di bombardare Venezia. Vano tornò il costui crudele disegno ; ma , non per queslo, fu minore lo sgomento che regnava nella minacciala città. Sospesi i negozi, chiuse le botteghe, interrotto il corso della giustizia ; il Senato di continuo sulla piazza di San Matco per metter calma, ed infonder coraggio a quella accalcata e concitatissima moltitudine.