— 67 — viene riversata intera sulla durezza e cecità della Corte romana ; e si afferma che, oramai, respinta la salvezza del progetto federativo e di ogni azione pacificatrice, lasciato colpire dalla disfatta il diritto storico del dominio temporale, il Papato politico rimaneva isolato in un lembo di terra, ostacolo all’unione d’Italia, biasimato dall’ Europa, sorretto soltanto dalla Francia (cui si mostrava ingrato suscitandole intestine difficoltà), irrigidito in un ordine di idee ogni giorno più in contrasto con il pensiero del tempo, ravvivato dalla resurrezione medesima d’Italia: il Pontefice nou poteva cadere in balia della rivoluzione, ma nemmeno il diritto del popolo italiano, solennemente proclamato, poteva essere sacrificato ; restava, adunque, un mezzo solo, la conciliazione. Napoleone 111 riduceva cosi al minimo le resistenze al concetto prettamente italiano, e abbandonava il Potere temporale a sé medesimo. Le susseguenti pubblicazioni dei documenti sui contrasti del primo Napoleone con la Santa Sede e del « libro giallo » su la Questione romana parvero giustamente significative, ed in verità la Nota del Cardinale Antonelli aveva torto in tutto il resto, ma non quando affermava la politica e le parole dell’ Imperatore essere incentivo alla ruina della sovranità pontificia, pur che si dica esattamente « sovranità temporale pontificia *. Dall’incalzare degli avvenimenti, che avevano anche stretto il più sincero pensiero napoleonico in una logica inesorabile, l’imperatore era stato tratto a ridursi al principio puro e semplice della necessità del dominio papale su Roma, come guarentigia di libero esercizio del ministero spirituale, ed anche questo concetto da ultimo perdeva i contorni precisi nel disegno della conciliazione. 11 discorso del Principe Napoleone venne subito, almeno, a chiosare le ultime conseguenze della politica imperiale, e le chiose serbarono la pienezza della evidenza, essendo mancata una qualunque contraria dilucidazione