é del 20 luglio ! Il Cavour che non poteva, come tornava facile al partilo d’ azione, isolare le questioni entro la definizione pura e semplice del diritto, e ben egli sapeva sino in fondo le immense difficoltà delle annessioni e la tensione degli animi nei Gabinetti con-tinenta i, dovette aspettare il momento per dichiararsi, ed agire. Fu un’ attesa penosa, ed intanto una lotta aspra, a volte disperala. È risaputa la storia delle diffidenze e del dissidio profondo del Cavour e di Garibaldi. Questi vedeva nell altro un nemico della libertà d’Italia (Sforza, op. eii., pag. 30), l'uomo che aveva umiliata la dignità nazionale e venduta una provincia ilaliana (Tivaroni, op. cit., p. 319); quegli non dubitava della lealtà del Generale, ma si della sua finezza politica, e, inquietato dalle persuasioni del La Farina, temeva che potesse facilmente essere raggirato dai repubblicani (Zanichelli, op. cit., p. 388; cfr. un giudizio certamente notevole in Bolton King, op. cit., p. 163). Guai se non vi fosse sialo di mezzo il Re, preziosissimo pegno dell’unità italiana I Delia storia penosa giova ricordare a preferenza 1’ ultimo urto. 11 Cavour era fisso nel convincimento (e ve lo confortavano uomini probi ed insigni, a cominciare dal Ricasoli), espresso uua volta con queste parole: «Se noi non siamo ai Volturno prima di Garibaldi, come alla Cattolica, la Monarchia é perduta » (Bolton King, op. cit., p. 172). Garibaldi era ardente nell’ idea, che gli fece dire, per reazione al moto annessionista : « fino a quando vi siano in Italia catene da infrangere, io seguirò la via o vi seminerò le ossa » (Tivaroni, op. cit., p. 320). Erano l’uno contro l’altro, risoluti. L? esercito regio avanza ; Garibaldi dice ai suoi soldati : « 1 fratelli nostri combattono lo straniero nel cuore d’Italia. Andiamo ad incontrarli in Roma, per marciare alle venete terre» (Ibid., p. 316). Il punto vero del dissidio era Roma. Garibaldi non aveva adoperato mezzi termini esponendo i proprii propositi a