— 61 — di passare il Tronto: «Qualunque sia la gravità degli eventi, io attendo tranquillo il giudizio dell’Europa civile, e quello della storia, perché ho la coscienza di compiere i miei doveri di Re e di Italiano. In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso dei popoli colla stabilità della monarchia. In Italia so che io chiudo l’éra delle rivoluzioni» (Ris. Ir., p. 174). — A p. 42 r. 20 s’gg., Discorso del giorno 11 ottobre 1860. — A p. 42 r. 19, anche il Principe Napoleone aveva detto, nella famosa discussione del Senato francese, che l’Italia, proclamato re Vittorio Emanuele, avrebbe reclamata Roma per capitale, e, poi che il Governo imperiale aveva sostenuto il principio del non intervento, meglio era, fatte certe riserve, concederle Roma e cosi assicurarle la unita (cfr. Quint., p. 42). Vi erano buone ragioni per credere che il Principe non aveva parlato contrariamente al pensiero del-l’Imperatore, e quindi il discorso non poteva nou suscitare vivaci commenti e non incuorare il palriottismo degli Italiani. Per ciò, anche, fu subito pubblicato il Discorso di «S\ A. I. il principe Napoleone, pronunciato nella seduta del 1 marzo 1S6Ì, Milano 1861. Tanto le parole di Gerolamo Bonaparte erano state giudicate altamente significative, che L. C. Farini nell’indirizzo della Camera dei Deputati in risposta al Discorso della Corona del 18 febbraio, inseriva questi periodi eloquenti: « L’Imperatore e la Francia nou indarno fanno a sicurtà colla nostra riconoscenza. Quasi nuovo benefìzio scese nei nostri cuori ai passali giorni la franca parola del Principe imperiale, unito a voi per vincoli del sangue ed all’Italia per antico alletto » (Ris. 1t., p. 188). ‘Benefìzio’ sarebbe stato un esplicito sostegno, ‘quasi’ benefizio era, per certo, l’intima buona disposizione. Si consideri l’alta importanza politica di un accenno siffatto in Un documento, quale era l’indirizzo redatto dal Farini. — A p 43 r. 1: