— 81 — p. 20), ma che dal Cavour fu affermato risolutamente e portato alle estreme conseguenze, in perfetta opposizione ai criteni che da un secolo valevano per norma agli Stati cattolici nelle relazioni con la Chiesa. Concetto, inoltre, che, mentre toglieva le oneste ragioni alle resistenze, semplificava la Questione romana, spogliandola del suo carattere internazionale (cfr. Zanichelli, op. cit., p. 407 e 415). Volontà della nazione e libertà: su questi principii il Cavour fondò i mirabili discorsi del marzo ed egli medesimo molto bene li illustrava scrivendo che « rendevano impossibili le mezze soluzioni, gli espedienti di fantasia, calmavano da un lato gli allarmi sinceri o affettati del partito cattolico, dal-1’ altro le impazienze naturali o calcolate del parlilo avanzato » (Tivaroni, op. cit., p. 391). Cosi intesa la genesi di essi, se ne vede chiaro anche l’ordito. Da principio la affermazione esplicita e solenne della volontà nazionale; e, perché potevano, su l’autorità del D’ Azeglio, esserle mosse obbiezioni, ribattuti gli argomenti delle Questioni urgenti con la precisa dichiarazione dei concetti serenamente e fermamente italiani: monito alla politica napoleonica (mentre, tuttavia, si promettevano né atti ostili, né improvvidi ardimenti) che non si considerasse il caso di Roma estraneo alla nuova audace teoria valsa per il diritto delle annessioni. Poi, ripetute le argomentazioni degli scrittori liberali circa la inevitabile caduta del potere temporale, e, a questo modo, preso atto delle idee espresse dal La Gueronniére ed agitate nella discussione avvenuta nel Senato francese. Da ultimo la parte propriamente originale e veramente insigne, la diritta e piena deduzione dalle premesse, contro ogni timido ed assurdo artifizio, di Roma capitale necessaria, e, con la dichiarazione del principio di libertà, dimostrata la sicura guarentigia dei veraci supremi interessi della Chiesa, ciò solo che potesse pretendere la Francia o domandare il mondo cattolico.—