S. GEORGIO MAGGIORE aó9 al giudizio che pronunciassero i conoscitori dell’arte. Ma il Donatello non dubitò a spontaneamenté darsi per vinto, ed anzi convenne, che quello, e non il proprio fosse collocato in s. Giorgio. Così si fece con compiacenza dell’ abate Michele, e questo bel Crocifisso vedesi tuttora ben conservato. Diremo però che tale curioso avvenimento tiensi da altri per una di quelle favolette delle quali talvolta macchiaronsi le storie delle arti ( 14-4)* Morto nel 145o 1’ abate Michele, al principio di agosto, i monaci nuovamente tumultuarono, rifiutando di star soggetti, non che congiunti alla Congregazione di 8. Giustina, e giunsero a separarsene col favore del doge Francesco Foscari. Per tale disunione però l’abazia passò in commenda, e fu commendatario prima ed ultimo Gabriele Condulmaro Veneziano cardinale, che poi nel i45i fu creato pontefice assumendo il nome di Eugenio IV. Questo papa era molto amico del riformatore Lodovico Barbo, ed essendo stato dell’ ordine suo di s. Giorgio in Alga , amava la riforma de’ Benedettini introdotta dallo stesso suo confratello. Avrebbe desiderato di riunire prontamente il convento di s. Giorgio alla Congregazione di santa Giustina (che allora chiamavasi appunto Congregazione dell’Unità), ma paventando l’ostinazione dei monaci, e la protezione data dal doge ai medesimi, deliberò d’ indugiare, incaricando però il Barbo di maneggiarsi destramente per assicurarsi del favore della repubblica. Frattanto il pontefice ritenne il titolo di abate di s. Giorgio. Il Barbo, tratta avendo nel parer suo la repubblica, tolse a’monaci resistenti ogni via di difendersi. Durante il maneggio del Barbo, essendo abate lo stesso l’apa, da esso dipendeva direttamente il governo del convento, ed i monaci già disperavano d’ottenere altro commendatario. Dopo il felice maneggio del Barbo, Eugenio IV come abate del monastero, unendo a se stesso la nascente Congregazione, e come Pontefice per mezzo di suo decreto a’ monaci comandando, fé loro intendere , che dovessero contentarsi di starvi congiunti. Furono da lui deputati Teofilo Michieli Veneziano, e Arsenio da Milano come visitatori della Congregazione, i quali arrivati in s. Giorgio ragunarono il capitolo, lessero il Breve, e cercarono d’ acchetare gli spiriti de’ malcontenti. I monaci non erano allora in quel monastero che quindici, mentre ne’tempi antecedenti fino a settanta se ne contarono. Questa scarsezza devesi attribuire, piucchè a qualunque altra ragione, alla scostumatezza da qualche tempo diffusa tra loro, e che li rendeva per la maggior parte disprezzabili. Alla lettura del Breve due monaci principali autori delle discordie si opposero, cioè Pietro di Cotfa (cosi trovasi indicato) e Gasparo di Messina. Nulla ostante il monastero fu unito alla Congregazione di santa Giustina di Padova nell’anno stesso Euge- nio IV, ritenendo il titolo e grado di abate di s. Giorgio destinò il medesimo Lodovico Barbo come economo ( 14;^)- I monaci poi elessero amministratore Paolo Strada di Pavia, e priore un Girolamo, di cui s’ignora il cognome. Ma niente facevano senza permissione del Barbo, quantunque, posciachè fu fatta l’unione egli fosse ritornato a Padova (146). L’anno 14^7 successe a Paolo, Mauro Fuliberto anch’egli Pavese, non mentovato dal Cornaro, il quale accenna invece un Girolamo, di cui non si sa il cognome, e eh’è il priore del quale traccia alcuna non ci è avvenuto di rinvenire ( 14?)- Ve" nuto essendo in questo tempo a Venezia Calojanni imperatore greco per trasferirsi al concilio intimato in Ferrara, insieme con Alessio suo fratello, e il patriarca Costantinopolitano con altra gente sino al numero di novecento persone, questo prelato che si chiamava Gioseffo, alloggiò in s. Giorgio. L’imperatore però fu albergato nel palazzo del marchese di Ferrara a s. Giovanni Decollato. Ciò avvenne in febbraio 1457 (148). In agosto i438, se non prima, Mauro ebbe per successore Ignazio da Genova, e questi di nuovo Paolo Strada, e non un Paolo da Genova, come dice il Cornalo. Nel <409 avendo ottenuta libera facoltà di trattare gli affari del monastero , senza che facesse d’ uopo del consenso del Barbo, di cui era amicissimo, diede l’isola di santa Maria della Cavana ora detta di santa Maria della Grazia a Corrado Aimanno Serie degli abati XXXIII