— 75 — dai primi momenti il suo processo pigliò cattiva piega. In luogo di difendersi si cullava sul diritto dell’immunità ecclesiastica e così fece la fine di Don Ferrante del Manzoni. La lettera di Don Nicolò Tusha faceva sempre il capo saldo di accusa. Per serbare la legalità fu citato lo scrittore. Non potendo forse provare quello, che aveva affidato alla penna, prese il volo per la Jugoslavia ad Antivari. Fu invitato di nuovo a comparire. Non diede risposta, nè venne. Lesh-Marashi ed il sottoprefetto di Puka scorgendo, che il processo terminava nella condanna a morte, paventando della responsabilità, dichiararono che altri documenti di colpabilità a carico di Don Giovanni non potevano presentare che la lettera accusatoria del prete. 11 consesso dei giudici, ricordandosi forse della pena del taglione del Vecchio Testamento, dente per dente, occhio per occhio, anima per anima, non o-stante le grida di Don Giovanni, il quale affermava che non avevano il diritto di condannare un sacerdote, che tale diritto spettava al Papa, tagliò corto e conchiuse che come Don Lorenzo Zaka, prete, aveva posto in fuoco e fiamme l’Albania, così un prete, Don Giovanni Gasoli doveva estinguere l’uno e le altre, lo condannarono alla corda. Per noi una stonatura, per i mussulmani nò. Fu osservata la Santa scrittura... del Vecchio Testamento. Così la intendono i seguaci di Maometto. Quel miserando che lo aveva accusato, udita la terribile sentenza, stimolato forse anche dai suoi superiori, scrisse una lettera in cui disdiceva quello che aveva scritto. A nulla valse. Il suo Vescovo stesso andò presso il suo amico Ahmet-Zogu. Presso la persona di costui la giustizia era finalmente la base di uno stato e non ottenne nulla. Vari gentili individui tra i quali padre Bernardino Shllaku O. F. M. ora vescovo nei Dukagini, nulla lasciarono di intentato per salvarlo: non approdarono a buon porto le loro sollecitudini. Voleva Gesù che il suo diletto passasse per crogiuolo delle tribolazio-