— 59 — dei Clemenni. Nel mentre si combatteva a Messi, un centinaio di schioppettate tirate sulla caserma del posto di gendarmeria di Hotti avevano manifestato il disegno che si voleva gabbare i Dukagini col dire che anche le tribù delle Montagne Grandi entravano in lizza: ma nulla più. Lo stradone che da Pod-goritza viene a Scutari, il quale a detta di Don Lorenzo, doveva essere pieno zeppo di automobili, di cannoni, di mitragliatrici, di rivoluzionari delle Montagne grandi, di soldati jugoslavi, era deserto. I comandi di gendarmeria indisturbati ai loro posti. Supponendo quello che di necessità doveva accadere, il partitante di Ahmeti, Nik-Gioni di Nikci presi con sè un buon numero di civili armati, tagliò, la sera del 28 novembre, la via ai Dukagini tra il passo di Ipek e le così dette «Gropa té rgiana» lasciando aperto e libero il luogo di entrata. Una trappola. Una decina di famiglie di Shala, di Nikai e di Merturi poterono valicare prima che si effettuasse il tranello. Quelle che seguivano prossimamente si immisero nella tagliuola e, quando respirarono, tenendosi sicure, da fronte, da tergo, dal di dietro si aperse, special-mente sul bestiame loro, un fuoco ben nutrito. Avevano un tremila capi di animali grandi e piccoli. Chi può descrivere lo spavento delle donne, le grida dei teneri fanciulli e fanciulle, la confusione del gregge? La viuzza corre tra balze e burroni, ora ascende verso la vetta, ora serpeggia sul costone. Gli uomini parte si aggrappano ai massi, alle roccie per salire sulla vetta, parte si nascondono dietro ripari naturali: alcuni preferirono la morte gettandosi giù nei burroni, come fece Prek-Zokoli di Zokol-Bassa di Shala. La maggioranza del bestiame scomparve fra-cellandosi tra i precipizi. Orrendo ad immaginarsi. Quelle famiglie che non erano ancora entrate, ma stavano al di qua, tra il passo ed il principio dell’ascesa, fecero il possibile per ritornare sulle loro peste, ma in una stretta stradicciuola praticata nel masso, tra profondi burroni e precipizi, come voi-