3| SAN risposto : laudo che ve lo leviate dinanzi mandarlo a Roma, imperocché bisogna che Chuomo segua quella cosa, la quale è inclina-to a seguirla, che nel fare istudiare chi vuol esser soldato, accade poi che tale attende più allarmi, che ai libri.....si che vadi pure alla Corte che sì mal si porta in Palazzo. E in effetto ossserva bene il Temanza (p. 2^5) che il Sansovino padre fu poco avveduto nel voler a viva forza indirizzare il figliuolo nello studio delle leggi, anziché indagare la naturale sua inclinazione, e in quella secondarlo. Ma nessuno appoggio trovò Francesco nella protezione di Giulio III, altro non avendo potuto ottenere che il vuototitolodi Cameriere pontificio (num. 83). Frattanto trafitto egli del continuo da a-cerbissime lettere del suo vecchio (intende di Jacopo padre) e di diversi altri gravissimi senatori padroni ed umici di quello, dato un addio alla Romana Corfe, se ne ritornò a Venezia dove diessi a vita del tutto riposata e tranquilla; e col tor moglie nel 1555 mostrò al Gauri-co e al Grechetto, e a diversi altri speculatori delle cose future che volevano al dispetto dal diavolo che esso Francesco fosse huomo di chiesa, eh'essi prendevano bene spesso de'granchi. Da allora in poi tutto si consacrò allo studio di quelle lettere ch’erano secondo il suo gusto (Secret. p.220), e si può veramente dire chela vita di Francesco fu una continua letteraria faccenda. Aveva egli piantata in Venezia una stamperia coll'insegna della Luna crescente, e col motto niF.s, allusivo certamente al progresso ch’egli intendeva di fare colle sue stampe. Sebbene da questa uscissero edizioni parte col nome suo, parte con quello di Jacopo suo figliuolo, nondimeno servivasi talvolta di altri stampatori e di altri caratteri, come del Valgrisi, del Sessa, del Farri,dell’Alaris, e spezialmente del Ram-pazetto; non ommessala stamperia del Giolito nella quale correggeva. Le edizioni della sua tipografia, o quelle della tipografia altrui presiedute da lui, in generale sono corrette; nondimeno talvolta era assai trascurato, del che vedi ciò che osservasi nella prefazione al T. III. dell Opere del Bembo (num. 5o). Di questa sua trascuratezza egli stesso avvedevasi e chiedeva-ne escusazione anche nella prefazione al [Palladio i56o. 4, dicendo: trovando talhora qualche errore mi dobbiate scusare perche essendo di et notte intento a darvi cose nuove, non è possibile ch'io possa veder tanto, essendo io solo, a molte fatiche le quali tutte mi sono leggieri per amor vostro. Nell’arte sua di tipografo GEMINIANO col ed editore il Sansovino usava talvolta di quella delicatezza verso i suoi colleghi, che è rara ai nostri giorni, cioè, di non istampare quell’opera stessa che un altro era per pubblicare; come usò verso il Valgrisi nelNiceta (n. 19), astenendosi dal dar fuori delle giunte che avea divisato di dare anche l amico Valgrisi. Grande è il numero dell’opere sue, le quali ci offrono traduzioni dal greco e dal latino, note, commenti, postille, indici,studi su diversi autori, raccolte di orazioni, di novelle, di lettere, di poesie. Altre spettano alla grammatica, altre alla eloquenza, molte poi alla storia. Prima di passare al catalogo di esse credo che non ne sarà discaro un prospetto per materie, onde il leggitore conosca a colpo d’occhio quale sia il merito loro. E primieramente, quanto alle Traduz oni, non sono queste ristrette solamente alla storia, ma si estendono eziandio alla morale, alla filosofia, alla medicina, all’agricoltura (num. 1.11. i5. 14 29.) Egli non solotraduceva, ma in generale cassava, aggiungeva, mutava, secondo il suo parere (num. 7. 17. 21. 25), di modo che piuttosto parafrasi possono chiamarsi che letterali volgarizzamenti. Egli dice che per questi aveva formato stile assai facile e chiaro, e van-tavasi essergli riuscito del tutto quello che scrive in questa materia Plinio minore. In effetto non puossi negare che se la fedeltà fosse andata del pari con lo stile, e se in parecchie delle sue traduzioni non avesse traveduto più d’una fiata, maggior laude si sarebbe il Sansovino acquistata fra l'immensa serie de’volgariz-zatori che inondavano allora le nostre contrade. Non so poi se per amore della verità o per una spezie d’invidia egli avviliva taluno per le sue traduzioni , come il Fausto da Longiano pel Niceta ( num. 19 ) e il Roseo per la traduzione dell’ Agricoltura ( num. 3o ); nondimeno era giusto nel dar la laude che s’ era meritata il Domenichi pel volgarizzamento di Plutarco (num. 20). Giusto era eziandio nel dispregiare taluna delle proprie, come quella del Fenestella chiamandola traduzion giovanile (num. 25). Ad ogni modo ebbe elogi il Sansovino anche per varii de’ suoi volgarizzamenti come dall’editore del Crescenzio di Bologna (num. 3 ) e dal Doni per il Plutarco; non però dal Pompei il quale dubita perfino se il Sansovino conoscesse la lingua greca, tanto inesattamente tradusse Plutarco. Buon per lui peraltro che la si decantata traduzione di questo autore fatta dal Domenichi è giudicata peggiore di quella del Sansovino (num.12). Quanto poi alle