36 eh SAN e riguardano la nostra Venezia. L’amore as sai grande ch’egli ad essa portava, considerandola quasi seconda madre, lo palesa in quelle dolcissime espressioni (Segret. p. sai) aGianfi-lippo Magnanini di sempre felicissima e veramente ammirabile città ch'egli non cambiereb-be per qualsivoglia più cara più. bella, più ricca cesa del mondo con ciò che segue: e altrove (num. 82) dice essersi ritirato a far vita tranquilla in questa beatissima città eh' è luce e riposo del mondo. Ter saggio del suo affetto a’Veneziani mandò avanti fino dal i555 il libric-ciuolo delVAvvocato (num. 66), dipoi il Dialogo delle cose notabili (num. 65) ; e il Dialogo del gentiluomo Viniziano (num. 84); e le Orazioni a1 Principi Veneti (num.56)\ da ultimo la Venetia descritta (num. 67) notando che in altre opere incidentemente parla di essa, e degl’illustri suoi, come nel Ritratto delle Cituì (num. 65), nel Governo de'Regni e delle Repubbliche (num. a5), nella Continuazione alla Cronaca Universale (num. 7) nella Cronologìa del Mondo (num. 61) nella Storia di Casa Orsina (num. 68), e nella Lettera a Leone Aretino intorno allo incendio del Palagio Ducale (num. 82); oltre di che aveva intenzione fino dal 073 di scrivere la Storia della repubblica Veneziana (num. 94/ Nè deve i-scemare il merito a coteste opere sue veneziane l’essere incorso in parecchi errori, li quali furori notati e dal Cornaro e dallo Zanetti, e dal- lo Zeno, e dall’Agostini, e dal Meschinello, e dal Temanza e dal Moschini.edal Verci (num. 67- e Dizion. storico. Bassan. T. IV. p. 181) imperciocchi in mezzo a tante peregrine notizie massimamente nella Venetia descritta conservateci, gli abbagli sono assai piccola cosa: e de-vesi d’altra parte osservare che molti documenti. e molte prove di fatto furono dopo di lui scoperte, ed egli conoscerle non poteva. L’ altra fiorzione dell’ Opere sue in prosa riguarda a lingua toscana e 1’ arte oratoria, e se, come si è detto di sopra, rese utile servigio alla nostra favella colla raccolta delle Orazioni di diversi e delle Osservazioni sulla lingua, il rese altresi colle illustrazioni da lui fatte al De-camerone del Boccaccio {num. 5i) e il Manni non ¡sdegnò di abbracciarne talvolta l’opinione, e il Bergantini si valse per la citazione di alcune voci buonissime dal Sansovino in varii suoi scritti usate (num. 56. 80. 85); imperciocché in generale la lingua e lo stile di lui e in tutte quante la opere sue originali o tradotte è buono, e manca solo di quell’atticismo, e di quella pu- GEMINI ANO rezza di frasi ch’è riservata per lo più agli scrittori Toscani. Ma come mai occupato egli notte e giorno nello scrivere, aveva agio di studiare più addentro ne' classici della sua patria e di limare le sue opere per modo di pareggiare quegli illustrìche sono nell’albo dell’Accademia della Crusca? Anche le sue Lettere intorno al De-camerone, comunque scritte fino dal i543, vennero laudate dal moderno Baldelli, perché con esse il Sansovino giustamente fece vedere che il Decamerone non è che la storia del cuore umano; malgrado che un Fiorentino collo torto suo nimico, in correggendo le stampe di quelle Lettere abbiavi lasciati errori tali da alterarne il senso e farne scapito all’autore, (num. 81) Il Sansovino diede precetti eziandio per iscriver le epistole, e nel suo Segretario più e più volte stampato, se ne ha la prova, essendo stato egli il primo a ridurre in italiano la maniera dello scriverle (num. 82). Francesco nondimeno avea i suoi difetti letterarj, e oltre all’invidiuzza, di cui ho fatto cenno di 6opra, e alla grande licenza che si prendeva nelle traduzioni, o nel correggere le opere altrui, aveva anche quello di promettere e di non attenere talvolta. Prometteva, per esempio, altri Tomi di Lettere scritte al Bembo (num. 5 2), altri due di Orazioni per li principi di Venezia (num. 36), un secondo libro delle Famiglie illustri (num. 64) j prometteva di dar alla luce il Tesoro della lìngua volgare (num suo pa 78) ; le Anatomie di Jacopo Sansovino dre [num. 77) che certamente sarebbero state cosa preziosa per gli artisti; e nulla più si vide. Che pià? Nella prefazione alla traduzione di Palladio (num. 11.) dice che ci dà il disegno delle erbe, delle piante, degli animali ; ma per quanto tu cerchi non ne trovi pur uno. Alcuna fiata tacque il nome degli autori e stampò le o-pere altrui o senza il consentimento di chi le scrisse, o col titolo d'incerto, ed egli sapeva di cui'erano, come usò nel Centonovelle {num. 54) nelle Lettere amorose (num. 37) nel Governo de'Regni (num 25) nell’Irene del Giusti(num. 59) nelle Orazioni degli uomini illustri (num. 55^, per le qnali lo Speroni ebbe nientemeno che ad onorarlo coll’aggiunto di furfante. Tal fiata eziandio cambiò nome a se stesso , e si fe’ chiamare Giovanni Tatti (num.2$() e forse Anseimo Guisconi ( num. 65 ), anziché Francesco Sansovino; e uno, non io però, che volesse andar più innanzi il direbbe anche plagiario nell’ avere abusato del Dialogo del Gentiluomo Veneziano, che in sostanza è libro di Bernardino Tomitano (num. 84). E forse co-