- 66 — do nel loro arrivo. Vennero davvero, non questi, ma altri. Il dì 2 dicembre 1926 per la via di Kiri era venuto Hamid-Ciallaku e Fycyri-Dinjia con un corpo di regolari e di civili armati di Matia. Aveva preso stanza presso la casa dell’alfiere; subito mandava al parroco tre persone con un mulo ed un biglietto di questo tenore: «All’istante consegni l’occorrente per tre letti». Lo consegno. Dopo brevi momenti due persone con altro biglietto: «Si consegni 10 oke di acquavite e 10 di riso». Credeva di trovarsi in città! Fu loro dato. Si noti che nessuna bottega c’era nei Du-kagini. Alle 4 di mattina il parroco ode due colpi forti alla porta. Sono trenta Matiani, che vogliono entrare. Entrati pretendono che vengano loro consegnate trenta mauzer ed altrettanti rivoluzionari che tiene in casa. Negando di aver le une e gli altri, lo insultano, lo imprecano, lo tirano per le stanze, lo buttano per terra e giù calci, busse, spintoni da gente più che rozza. Si spargono per la casa e rubano quello che a loro piace. Caricano anche il mulo del frate e, prendendolo con sè, se ne vanno. Sperando il padre che così fosse terminato, ne arrivano altri trenta mandati da Hamid-Ciallaku per ucciderlo, come asserivan loro. Avendo fatto osservare a questi che il missionario era italiano di nascita e di sudditanza, rispondono che, quantunque italiano si trovava su terra albanese e giù a porgli gli schioppi sulla pancia, giù a spianargli i coltelli al ventre per sbudellarlo, giù a tirarlo pei corridoi e per le stanze facendo del suo cappuccio corda. Saziatolo di ludibri e d’imprecazioni lo spogliarono. Uno scellerato andò presso la porta della chiesa contigua alla casa: la aperse a colpi di calcio di schioppo, si vestì d’una pianeta a vari colori e la portò per scherno della fede in quei dì pel paese. Per nove ore quella abitazione si convertì in luogo di desolazione. I danni cagionati furono giudicati a Ko-