86 poco dopo. Si recò allo spaccio di gelati, dove aveva un piccolo impiego, a prendervi l’arma che aveva nascosta colà per timore di un sequestro. Poi si recò al caffè ad attendere la moglie. Leggendo i giornali, secondo il suo racconto, gli venne di pensare a Ile Zog, per cui preso da grande irritazione, uscì dal caffè col proposito di cercare il Sovrano e insultarlo pubblicamente. Non aveva allora — ha affermato alcuna intenzione di ucciderlo. Giunto all’opera vide l’automobile del Re, e s’incontro poco dopo con Caini. Non ricorda se fu lui a invitare Carni a commettere l’attentato o viceversa. Il Gieloshi nega anche di aver qualche giorno prima concertato col Carni l’assassinio del Sovrano. «La conclusione del magistrato. «L’atto di accusa, in base a questo complesso di circostanze esclude assolutamente che l’attentato sia stato preparato all’ultimo momento come vorrebbero dare ad intendere i due Albanesi. Neppure degna di fede appare l’affermazione del Carni, secondo la quale l’attentato sarebbe stato concertato ma in forma vaga da lui e dal Gieloshi qualche giorno prima al caffè dell’Opera. «Vi sono piuttosto vari indizi per ritenere — dice l’atto d’accusa — che l’attentato contro Re Zog non fu soltanto il risultato di un’intesa fra il Gieloshi e Carni, ma di un ben più vasto complotto che aveva un importante sfondo politico, poiché alla soppressione del Sovrano sarebbe dovuto seguire un rivolgimento di regime in Albania». I contatti a-vuti il giorno dell’attentato dal Gieloshi e dal Carni con numerosi altri emigrati albanesi, il fatto che nel corso dell’istruttoria — come ci risulta in modo positivo — l’albanese Angelin-Suma apparve come il cassiere della banda, cioè quello che percepiva da «ignota fonte» il danaro da distribuire agli emigrati avversari di Re Zog, giustificano pienamente la convinzione del Procuratore di Stato che il complotto fosse vasto e complesso, certo non solo circoscritto ad elementi albanesi.