S. MARTINO DI MURANO. 189 non si volesse venire ad alcuno accordo con lui; dalle quali parole deduceva il Navagero che VAlemanno molto poco amico losse d’Italia, parlando così acerbamente; e sfor-zossi di mitigarlo colle migliori espressioni che seppe. D’ altronde egli prevedeva che non pensavasi alle cose d’Italia prima di vedere come andassero le faccende di Francia, mentre il re non aveva osservalo ancora alcuna promessa e pochi erano in Siviglia che 'Credessero surebbe osservata. L’imperadore aveva comandato ne’ mesi passati che tulli i Mori eh’erano nel regno di Aragona e di Valenza si facessero cri-stianij e molti forzati da qualche loro interesse anche si fecero, ma circa due mila fuggirono in una montagna vicina a Valenza fortissima, deliberali di non voler abbracciare la lede di Cristo. Altri a coloro s’ aggiunsero, e l'uron più di quattro mila. Allora Cesare inviò il Duca di Segorbe che fu figliuolo dell’ Infante Fortuna con circa quattro mila fanti per tagliar a pezzi coloro, o per costringerli a farsi cristiani. Questi coll’ ajulo del luogo forte non solo si dilesero, ma ruppero i fanti Cesarei, calando dalla montagna, e facendo mille danni, e rubando il paese, e uccidendo alquanti cavalieri di qualità. Erasi anzi detto, che a coloro s’uuiron anche di quelli cli’eransì già fatti cristiani, cosicché in tutti sommavano più che dieci mila, il cui capitano chiamarsi faceva re di Falensa e capitano del Turco (173). Dalle Indie in questo frattempo ebbesi nuova che Uernando Cortes avea trovata una nuova città settecento leghe lontana da Themistitav, della quale di-cevansi cose stupendissime; ma intanto che il Cortes era andato a rintracciar queste nuove terre, si sollevarono alcuni spagnuoli in Tliemistitane uccisero un suo nepole che avea colà lasciato per governatore, cd alquanti altri uomini del Cortes dicendo che lacevauo così perchè ed essi cd il Cortes erano ribelli a Cesare. 11 Cortes venne alla volta di Themistitan con buona mano di gente per vendicarsi della morte del nepote; ma essi uscirongli contra con assai uomini ed era per seguire d’ora in ora un fatto d’arme (174). Frattanto in Siviglia facevansi leste per le nozze di Cesare, e una giostra, e cacce di Tori, e giuochi di canne (175), essendovi giunto anche 1’ infante don Luigi di Portogallo (176) fratello dell’Iiuperalri-ce (177). Per notizie provenienti dal Marchese del Fasto aveasi che il Papa andava facendo provvisione di danari e di genti, e che il Conte Guido Rangone (178) aveva più volte fatto partito ai fanti italiani di Cesare di condurli al soldo del Papa e della Signoria, e sospellavasi molto del Pontefice che fortificava Parma e Piacenza e avea spedilo in Francia Messer Cappino (179) e tolto a’suoi servigi Andrea Doria (180) colle cinque galee che aveva. Dicevasi eziandio che le galee che armava Venezia non fosser per allro che per unirle a quelle del Papa; e tulio ciò per opporsi alle viste di Cesare. Ma il Navagero cercava ogni mezzo di rimovere ¡Cesarei da tale sospetto, facendo intendere che la Signoria suole continuamente tener buon numero di galee orniate, e se ora ne avea più del solito era per queste nuove che da ogni parte si dicono del Turco del quale ancorché poco abbiasi a temere, pure non si può star tanto sicuri che non sia necessario di aver l’occhio alle cose sue. Il Navagero di nuovo instava per avere un sussidio dalla Signoria, e che si nominasse un allro Oratore in luogo suo, che fosse più ricco di lui (181). Olire alle cure pubbliche avea il Navagero anche le raccomandazioni private; imperciocché Simone de Tassis maestro de’ Corrieri pregavalo per il buon esito di una causa che aveva sopra una sua giurisdizione in Istria, e chiedeva dal Navagero un certificalo che ed egli e il fratei suo Matteo, o Maffeo de Tassis erano buoni servidori della Signoria (182). L’Orator glielo rilasciò lodandosi della diligenza di Simone nel suo ministero (183). Intanto sendo nella notte del 30 aprile al primo maggio 1526 giunto in Siviglia il Corriere da Roma che portava l’assoluzione a Cesare per la morte latta dare al Vescovo di Zamorra, Sua Maestà la mattina del primo fu alla Messa nella Chiesa maggiore, fecesi assolvere dal Confessor suo; e dopo desinare andò a San Girolamo, Monastero di frali fuor della città circa un miglio per ¡starvi una settimana, in vece della settimana santa che non potè celebrare per essere scomunicato, come si è detto di sopra (184). Lamentava in questo