188 S. MARTINO DI MURANO. confermasse esser vere le ruberie (168). Ma qui è d’ uopo narrar un avvenimento a questi dì succeduto. Nel tempo, cioè del 1520, in che si sollevarono in Ispagna le Comunità contra Cesare fuvvi tra’ capi il Vescovo di Zamorra don Antonio de Accu-gna, o Acuna, uom molto valente, e molto nemico dell’Imperatore. Costui fu fatto prigione a Simanca, ed essendosi scritto al Papa perchè desse licenza che se gli potesse dar tormento per sapere molte, cose da lui massime della morte di molti cui erano imputate, per essere quel Vescovo stato sempre terribile, e di fazione, e di vendetta, il Papa fu contento, ma volle che il processo si mandasse a Roma riservando a sè il giudizio di quel che si dovesse fare del Vescovo. Così andava la faccenda, e molti credevano che Cesare gli avrebbe perdonato. Il Vescovo, ancorché vecchio di oltant’ anni, uomo però di mollo coraggio , deliberò di fuggire. Un Castellano (Alcaide in lingua spagnola) che il guardava erasi fatto molto amico suo, ed ogni giorno per compiacerlo si recava alla sua camera, e giuo-cava col Vescovo. Nondimeno perchè conosceva eh’ era uom fiero, si Iacea chiuder entro con esso lui in quella camera, portando indosso spada e pugnale, per lo che pareagli di non dover temere d’ essere forzato, non avendo il Vescovo alcun’arma in poter suo. Costui, trovandosi un dì secondo il solito col Castellano, o sia che prima vi avesse pensalo, o che gliene venisse allora il crudele pensiero, prese un brasato (braciere, che in dialetto veneziano direbbesi foghera) piccolo di ferro, nel quale si usa in Ispagna, ove son pochi cammini, di tener qualche carbone per ¡scaldare le camere; e con quello pieno di fuoco e cenere diede nel viso al Castellano sì che questi tutto attonito, si pose le mani agli occhi e alla barba per levarsi la cenere e i carboni, e il Vescovo colse il momento di trargli di dosso il pugnale, e dargli tante pugnalate che, senza che il pover’ uomo potesse pur gridare, lo amazzò; poscia presa la spada battè alla porta come usava battere il Castellano; perlochè gli fu aperto da un figliuolo dell’ infelice, al quale subitamente con una spada, e con una rotella che pigliò fuor della camera corse dietro; ma il fi- gliuolo fuggì, e tanto gridò che ajutato da altri, eh’ eran nel Castello, ripigliarono il furibondo Vescovo, e lo tornarono in prigione (169). Cesare inteso questo fatto, senza comunicare le sue risoluzioni ad alcuno, ordinò subitamente che fosse appiccato il detto Vescovo; il che fu fatto. La nuova a Siviglia venne il martedì sanlo ; il perchè l’Imperatore ritiratosi nel suo palazzo non andò alla Chiesa, nò la Pasqua seguente -.si è comunicato. Il dì stesso in che n’ ebbe la nuova spedì un corriere a Roma segretamente per ottenere 1’ assoluzione ; ed intanto continuava a non andare in Chiesa, nè uscire di casa, se non se in secreto (170). Dopo la pace colla Francia, osservavasi che il Gran Cancelliere fuggiva ogni carico, nè da lui potevasi aver mollo, tranne che buona cera ; e stava in aspettazione che la Francia mancasse di parola per poter dire eh’ egli era stato profeta. Le cose di Lutero in Germania facevansi maggiori più che mai, e que’ principi vo-levan totalmente staccarsi dall’ obbedienza del Papa; la qual cosa Cesare non voleva per conto alcuno (171). Non ommetteva intanto il Navagero. di recarsi all’ Impera-dore, e a’ Consiglieri di lui e al Gran Cancelliere, il quale ripelevagli, che la domanda de 200 mila ducati fatta da Cesare gli pareva onesta, perche la Signoria era slata cagione eh’ egli facesse una grandissima spesa col non avere accettato per l’addietro lo accordo che Sua Maestà le aveva offerto ; che se Io avesse accettato, Cesare si sarebbe liberato della gente che teneva in Italia; lo che non avendo potuto fare, era ragionevole che la Signoria soddisfacesse parte del danno che per la sua tardezza avea fatto provare a Cesare. Rispondeva qui il Navagero, che s’era concluso il tutto col Duca di Borbone, ma che le cose sopraggiunte avevanlo sturbato, e non ne fu colpa la Signoria, e Cesare non aveva trattenute le genti per causa della Signoria, ma per sua riputazione o per continuare ad avere in sua mano lo Stato di Milano. Recatosi poscia il Navagero a don Giovanni Alemanno (172) uomo il quale entrava in tutti i segreti consigli, quegli dicevagli : Fultis imponere leges Casari? cioè, che se Cesare non ritornasse lo Stato di Milano,