DALMAZIA. 93 entrambe, il più certo espediente è saperle a fondo ambedue. Il pessimo male gli è il mezzo bene. Se certi italiani sapessero il francese a fondo, non iscriverebbero infrancesato: ma perchè poco ne sanno, lo pigliano per italiano pretto; e ne seguono quegli equivoci che fanno rabbrividire nel riso. Dunque saviamente avea cominciato il signor Petranovich1 dalmata a stampare ogni anno una come strenna illirica, ad insegnare l’alfabeto serbico, e lo studio delle cose illiriche raccomandare. Già non è più boria scusabile, ma ignoranza, dire barbara la lingua slava, che in Polonia, in Boemia, in Russia, in Ungheria fu fatta degna di vestire alti e delicati concetti. E foss’anco lingua di popoli rozzi, da lei gioverebbe respirare quell’aura di vergine poesia che dalle lingue esce, fecondatrice della futura lontanissima civiltà. Ma questo è argomento da pochi: io m’appiglio a ragione più palpabile, e dico: “ milioni d’uomini armati par-„ lano questa lingua; rispettatela dunque „. Quando il cannone accompagna le canzoni d’un popolo, giova stare un poco a sentire quel ch’egli si canti. 1 A queste parole stampate del 1841, ristampate nel 43, dò qui luogo per dimostrare qual fosse e qual sia l'animo mio verso il dottore Petranovich, il quale non provocato mi indrizzò la parola in forma alquanto severa.