cu SAN GIOBBE. lempo ordinò al Fomento d’intimare all’A-mulio di reslituirsi immediatamente in Venezia , mentre egli sarebbesi trattenuto a Roma finché ci pervenisse il nuovo Oratore. Falla la esposizione dal segretario, il Papa altamente si dolse, protestando che era stato eccitato a tale destinazione dal solo desiderio di provvedere quella Chiesa di oggetto distinto, e di aver ciò fallo senza alcnna cognizione dcH’ambasciatore; c questi d’altronde attestava al segretario di non aver mai penetralo tale inleDzione nel Pontefice, e che, conscio delle pairie leggi dichiaravasi obbe-dientissimo, e prontissimo a ricusare l’onore, tanto più che iiun senlivasi disposto per il sacerdozio. E ripetendo il Pontefice che non avrebbe mai voluto che l’ambasciatore avesse a sottostare ad una pena per una colpa ch’era tutta di esso pontefice, progettò o di scrivere ni Senato una lettera di proprio pugno per gius ti ficare la cosa, o di farla rappresentare al Senato stesso col mezzo di persona che avrebbe espressamente spedita. Il segretario accolse destramente la prima proposizione, alla quale aderì il Pontefice, dichiarando con sue lettere al Senato essere stato spinto dal solo zelo del servizio di Dio a tale elezione, e pregando che l’ambasciatore, non reo di alcun fallo, potesse continuare in Roma il corso della sua legazione. Ancorché noa fosse interamente persuaso il Senato di rivocare il decreto, pure riflettendo all’ innocenza del-l'Amulio, e alle istanze del Pontefice, fu a larghi voti deliberato in contradditorio di scrivere all’ambasciatore, di più non partire, e se si fosse incamminato (come era di fatti) tornasse addietro e si restituisse in Roma r e anzi fu decretato che aH’Amulio si dessero cinquecento zecchini in dono. Egli tornò a Roma con grande gioja del Papa. Ma dispiacente questi di uon essere stato esaudito nel suo desiderio tentò altra via per ottenerlo. Aveva frattanto il Pontefice accordata al Senato la nominazione di quattro soggetti al vescovato di Verona; ma comandò al cardinale Carlo Borromeo suo nipote di maneggiarsi perchè fra que’ quattro soggetti fosse compreso il Damula. Ricevuta questa notizia, poiché il Donato aveva già detto molto contro il Damula, tacciandolo più volte di avere ambito il vescovato contro le leggi, montò in arringo Nicolò Da Ponte ch’era al- lora consigliere, ed alcuni anni dopo fu doge, facendo vedere che il Damula coll’ opera e colla diligenza sua aveva ottenuta al Senato la facoltà dì nominare quattro personaggi per la scélta a vescovo di Verona, e clie potevasi compiacere al Pontefice in sì piccola cosa, com’era di inchiudere il Da Mula ne’ quattro. Ma contro questo ragionamento insorse /tinse Mocenigo che pochi mesi prima era ritornato dall’ambasciata di Roma, e che poscia fu doge, così cominciando la sua Orazione ; « Chi non vede, Padri, che le lettere » del Borromeo ottimo giovane, i di cui santi » costumi io conosco, sono dettate dal Da Muti la, o da qualche altro suo amico? Chi non » ¡scopre la frode, che in questo modo si » teuta di usare alla vostra legge? Ciò udito, nelle discrepanze de’ voti fu decretalo che la legge impediva di nominare per vescovo ri Da Mula: e furono invece proposti altri quattro, cioè Bernardo Navagero , Daniele Barbaro, Andrea Lippomano, e Girolamo Trevisan; il quale ultimo fu dal Papa prescelto. Ma risentitosi nuovamente il Pontefice di non essere stato compiaciuto nè anche in questa parte, aspettò tempo e luogo di poter (se è permessa questa espressione ) vincere deludendo la volontà del Senato, e incontrando insieme le brame del Damula che già vede-vansi (malgrado le sue proteste) tendenti a qualche distinta dignità ecclesiastica. Venuto il Papa alla nomina di molti cardinali, nel di 26 febbraju 15G1 a stile romano ne scelse due, cioè Bernardo Navagero, e Marcantonio AmuIiOj del quale disse nel nominarlo questi è vaso di elezione. Comunicata a’ Veneti padri tale elezione (Ne’Codici Svayer 4387 e Capponi a p. 233 sta copia del Breve relativo di Pio IV in data 26 febbrajo -1564 more romano), se fu gratissima ad essi quella del Navagero, fu loro molestissima quella dell’Amulio, pel noto motivo che accettata aveala contro le statutarie leggi della repubblica , e perchè nessuno potea persuadersi che lo slesso ambasciatore non se l’avesse procurata. Scrissero Donostante a Roma di acquietarsi e di restar contenti alla volontà del Papa, ma però cadde l’ambasc. in disgrazia della repubblica, e proibirono qualunque dimostrazione di letizia in Venezia, vietando perfino a’ parenti e agli amici di vestire la porpora ducale. Spedirono poi su-