— 107 — mini meccanici » di fronte ai quali la sua repulsione è contenuta nel gelo di una voluta indifferenza, poiché egli non si sente di assumere il tono del castigatore. Il riso di Cèchov, infatti, al contrario di quello di Saltykòv, si raccoglie in una superiore pacatezza, che rivela, solo in certe pieghe nascoste, una partecipazione non polemica, ma sentimentale, attraverso un senso di pensosa serietà e talora di affettuosa e malinconica commozione. L’amarezza contenuta del riso di Gògol, quell’amarezza che nasconde sotto cc il riso visibile delle lacrime che non si vedono » è come sepolta nel riso cechoviano, il quale tuttavia, salvo alcune eccezioni, avrebbe fatto ripetere a Pùikin ciò che disse a proposito delle « Anime morte » : « Dio, come è triste la nostra Russia ! » Cèchov non è dunque né il satirico, né il banditore dèlia sua epoca. Si può dire, però, che anch’egli, sebbene indirettamente e non certo coll’animus satirico, colpisca alcuni mali, per lo spirito che emana dalla sua opera; e, analogamente, se egli non è il banditore, certo è il rappresentante della sua epoca, nel senso che della sua epoca ha raccolto le voci facendone balzare il dramma nascosto, dramma che, del resto, rimane così spesso latente anche in fondo al suo riso. Il nostro chiarimento riguardo al modo d’intendere la definizione di Cèchov come « satirico » o « banditore » della sua epoca, ci spiega, implicitamente un’altra cosa e cioè come, contrariamente all’opinione di chi nelle suddette definizioni sottintende una tesi che lo scrittore avrebbe propugnata, non ci sia in Cèchov artista, nessuna tesi o morale o politica o religiosa, da sostenere,