— 39 — C’è stato nella vita di Cèchov un periodo in cui egli ebbe la fede, come appare da una lettera giovanile al fratello e dalla lettera del 12 luglio 1903 (1) a S. P. Diaghilev, in cui dice: «...io ho perduto da un pezzo la mia fede e guardo con stupore ogni intellettuale che crede»; ma tramontato questo lontano periodo cui si accenna, Cèchov sembra quasi sfuggire il problema religioso, con una specie di disinteresse. Può darsi che su di lui abbia influito quella corrente negatrice che si agitava in seno all’« intellighèntsija » e che, nella necessità di lottare contro l’assolutismo zarista, aveva combattuto insieme reazione e religione, confondendo la chiesa, troppo spesso stretta allo zarismo, colla religione stessa. Ma qualunque sia la ragione, a noi sembra che la posizione di Cèchov di fronte al problema religioso, dipenda non tanto da una trascurata e inspiegabile indifferenza, quanto dal fatto che in lui, nonostante alcune isolate ribellioni del sentimento, l’implacabile ragione rispondeva alla parola fede con un così profondo senso di scetticismo da fargli evitare la discussione di un problema, che era per lui penoso, come dimostrano certi suoi rimpianti della fede perduta (2). Nulla, forse, è più terribile del silenzio con cui Cèchov risponde alla parola: Dio; come quando il Monaco nero, alla domanda « Che cosa intendi per eterna verità? » tace e scompare. Insomma questo sfuggire il problema religioso significa già esprimere la convinzione (1) Opera citata. Voi. VI. (2) V. pag. 57 e seguenti.