— 85 - e come caratteri, era stato l’oggetto principale, sia che questo studio si riducesse a un più o meno angusto regionalismo (come in Yon Yìzin, Gribojèdov, Ostròvskij) sia che mirasse ad una più vasta e profonda significazione umana come in Gògol. In Cèchov un certo studio dei caratteri, dei tipi in sé e per sé si profila nei racconti umoristici, nei lavori in un atto e qua e là in alcuni drammi in quattro atti. Ma spesso anche qui, piuttosto che mirare esclusivamente alla costruzione di figure dalla fisionomia inconfondibile, egli delinea la loro sostanza di scorcio, con un atteggiamento, con poche frasi rivelatrici, in modo che se ne conosce perfettamente il tono psicologico, mentre la costruzione della figura, anche se limpidamente profilata, è resa nelle sue linee, piuttosto che nella sua sostanza plastica, e, in ogni modo resta in secondo piano. Leggendo le novelle e i drammi di Cechòv, noi ci sentiamo un po’ come dinanzi ad un caleidoscopio: ogni figurina rappresenta la posa di un attimo, ognuna ha qualcosa di suo, un suo piccolo tesoro di comicità o di dolore, ma bisogna vederle idealmente tutte insieme per poter abbracciare quel senso unitario della vita, di cui ognuna di esse ha un riflesso, e che costituisce la visione cechoviana. I sentimenti di Akàkij Akàkjevic del Cappotto o di altre figure gogoliane, ci richiamano immediatamente fisionomie inconfondibili, mentre Nicola Stje-pànovic, come Zio Vànja, come tante altre figure cecho-viane ci si presentano col peso del loro tormento interiore, ma quasi senza volto, come tante facce di uno stesso dramma, di cui è impossibile fissare il protagonista.