— 19 — (che nella vita vedevano niemt’altro che un semplice processo, in cui la personalità individuale, doveva svilupparsi solo per sé stessa) ma si preoccupava anche di pagare al popolo quel debito di cui, venendo meno alla rigida teoria individualista, parlava anche Pìsarev nei « Realisti » e a cui, invece si era opposto l’ostacolo del-l’ultra-in divi dualismo dei seguaci di Pìsarev. Dunque gli intellettuali degli «anni ’70» avevano scritto sulla loro bandiera il motto : « Con il popolo » e avevano lottato in nome di questo ideale. Ma, coll’assassinio di Alessandro II (1881) e l’assunzione al trono di Alessandro III, che iniziava una violenta reazione, essi vedevano tramontare il periodo della lotta fiduciosa in nome del loro ideale e molti di loro provarono, col dolore della sconfitta, l’amarezza della prigionia o dell’esilio. Al fallimento materiale si aggiungeva ancor più duro il fallimento ideale. Infatti le grandi riforme che intorno al ’60 avevano coronato lo sforzo degli uomini del decennio precedente, riforme, tra cui, importantissima, la liberazione dei servi della gleba (1861), non solo erano arrestate nel loro ulteriore svolgimento, ma apparivano manchevoli; e, nella loro attuazione, su cui non poco influivano la mentalità e la rapacità della classe conservatrice e l’inerte ignoranza del popolo stesso, creavano un nuovo, imprevedibile disagio sociale, in luogo del vagheggiato miglioramento. Era quindi naturale ohe gl’intellettuali (intellighèntsija) scesi in lizza per il popolo, dovessero confessare a sé stessi di essere stati incapaci di sollevare le masse dalla loro cieca passività e di adeguare ai loro ideali la dura realtà.