— 61 — 20 - INERZIA PRATICA E ATTIVITÀ SPIRITUALE Perché — e qui è il vivo principio idealistico della visione cechoviana — il creare per lui, non consiste nell’azione pratica quando, essa, sebbene ricca di successo e di risultato, sia vuota d’ogni contenuto ideale. Cèchov — è vero — non riesce a superare l’ostacolo che gl’impedisce di conciliare una fede colla vita, un ideale coll’azione; ma nell’aver sentito la bontà del travaglio interiore dei cercatori sfortunati, c’è già una luce ideale che riscatta il suo tragico mondo senza certezze. Questo amore per gli esseri materialmente inattivi si è certo sviluppato, o almeno accentuato in Cèchov, specialmente negli « anni 80 » sotto l’influenza del tolstoismo, che, nella sua parte distruttiva e negativa, quella assimilata dal Nostro, vedeva nella vita pratica qualche cosa che distoglie gli uomini dalla vera vita: quella dello spirito. In ogni modo, comunque possa apparire l’inerzia delle creature cechoviane, è certo che Cèchov, col suo amore per gli esseri inetti alla vita pratica, ma spiritual-mente più ricchi, ha voluto colpire proprio quello spirito grettamente utilitario, quel senso materialistico di cui è stato da alcuni accusato e che, se era un male del suo tempo, gli appariva anche come il tarlo segreto di tutta l’umanità. Ecco perché ai vari e fortunati conquistatori della vita, ma cinici o spiritualmente inariditi, egli preferisce quelli che cercano senza arrivare; ecco perché ama e idealizza il fallito zio Yànja o Ljubòv Andrèjevna di