— 44 — stenza diventare grigia, uguale come la steppa, che, pur attraverso le sue bellezze, già rivela agli occhi del fanciullo ignaro e sognante, l’infinita steppa della vita, che attende col suo mistero (1). 11 — L’ETERNO RITORNO L’infinito, l’eterno, che le creature di Cèchov hanno perduto come superiore e consolante certezza, le perseguita in una forma tutta terrena, con questa invincibile sensazione di un eterno ritorno delle cose. La loro vita stessa, annegata nel tedio, sembra la ripetizione di una vita realizzata ab aeterno. Anche l’amore, questo sentimento che, forse più di tutti, dà l’impressione di un creativo rinnovarsi dell’anima, appare come un eterno ritorno e persino a Nàdja, la protagonista del racconto La fidanzata (1903) l’ultimo di Cèchov, in cui qualcuno vorrebbe vedere un’affermazione di trionfante ottimismo. A Nàdja, che ascolta le espressioni d’amore e di felicità del fidanzato « sembrava di aver sentito tutte queste cose tanto, tanto tempo prima, o di averle lette chissà dove... in qualche romanzo, in qualche vecchio romanzo sgualcito e dimenticato da un pezzo. » E non solo il nostro mondo interiore, ma anche quello esterno che in esso si riflette, anche la stessa natura, nei suoi aspetti più belli, si colora di questa luce: «Nel giardino c’era una pade, uni tepore... e brune ombre tranquille si stendevano sulla terra. Lontano, molto lontano, chissà dove, forse fuori della città, (1) V. Antòn Cèchov: La steppa (nella bella traduzione di Olga Resnevic - Soc. An. Ed. La Foce).