- 35 - profonda aspirazione alla felicità, alla vita: le cose stesse della natura cantano all’unisono con quelle anime ardenti, creando tutta una sognante atmosfera di limpida attesa. Eppure quell’amore si arresta poi di fronte all’azione che deve realizzarlo e naufraga nel fluire uguale dei giorni, giacché Pietro Serglijèic, come dice la Signora N. N. era stato incapace di creare la sua esistenza e quella di lei; rassegnandosi troppo presto al pensiero di essere un infelice e di essere stato ingannato dalla vita, contro cui gli sembra inutile lottare. Allo stesso dramma assistiamo in Vjèrocka (1887): Oghnjòv un giovane di 29 anni, timido e solitario, allorché Viera, nel momento in cui debbono separarsi per sempre, gli rivela il suo amore e dice di esser disposta a seguirlo dovunque, rifiuta, sebbene anch’egli ami appassionatamente la fanciulla. In lui, come nel Rùdin di Turghèniev, la volontà si paralizza e il sogno cade di fronte all’azione; esso ritorna solo come rimpianto allorché Vjèra si è dileguata ed è vano ogni pentimento, vano inseguirla nelle tenebre della notte in cui si perde, senza risposta, quel chiuso dolore che ha dinanzi a sé la vita grigia di ogni giorno. Infatti, le due novelle che abbiamo ora ricordate, non rappresentano solo il fallimento di un amore, ma quello di tutta una vita. Come Pietro Serghjèic, come Oghnjòv, tutti gli eroi cechoviani s’arrestano di fronte a qualche barriera che, anche se temporanea e insignificante, diventa insormontabile, perché l’ostacolo è dentro di loro e segna la data fatale della loro caduta, del loro ripiegamento su sé stessi, del loro abbandono al