— 94 — Così, se in Ivànov, troviamo frequenti soliloqui, special, mente quando il protagonista s’indugia ad analizzare, a descrivere il suo male interiore, non è difficile trovarne anche negli altri lavori, come nelle Tre sorelle, che, nel complesso, è uno dei più solidi, e perfino nello Zio Và-nja, che è certo il più sobrio ed equilibrato. Per soliloquio, naturalmente, intendo non solo ciò che i personaggi dicono quando son soli sulla scena, o quando si presume che i presenti non li ascoltino, ma anche tutto ciò che essi dicono agli altri, come parlando a sé stessi, sia per una sovrabbondanza di sfogo passionale, sia per informare su certi antefatti dell’azione. Si ricordi, per esempio, l’inizio del primo atto delle Tre sorelle. Olga dice: «Nostro padre è morto precisa-mente un anno fa, il cinque maggio, proprio in questo giorno : il giorno del tuo onomastico, Irina. Faceva molto freddo, allora, e cadeva la neve. Io credevo di non poter sopravvivere e tu eri svenuta e parevi un cadavere. Ma ecco: è passato un anno e noi ricordiamo quel giorno senza turbamento quasi... Tu sei già vestita di bianco e il tuo viso è raggiante. (L’orologio suona mezzogiorno). Anche allora l’orologio suonò: (Pausa). Ricordo che al funerale di nostro padre c’era la banda e che, al cimitero spararono a salve. Però, sebbene egli fosse generala di brigata, c’era poca gente. Del resto pioveva quel giorno. Pioveva forte e nevicava. » I particolari sottolineati non sgorgano su collo stesso tono degli altri, ma sono frutto di quella sovrabbondanza in cui, non di rado, degenera la tensione sentimentale dell’autore e servono a informare che la morte del padre