— U — Cèchov, che il Mjerezkòvskij considera come un banditore del positivismo, come un profeta di quel movimento che avrebbe dovuto portare a una materialistica religione dell’umanità, al regno dell’Anticristo, Cèchov, dicevo, sente tutto il dramma di una vita senza fede e l’inutilità della scienza umana. « Perché l’uomo non è immortale? » si domanda egli nella Camera N° 6. «Perché i nostri sensi, i nostri sentimenti... tutto deve finire in una fossa? » E più oltre: «La trasformazione della materia! Che vigliaccheria consolarsi con questo surrogato dell’immortalità! » Tutto questo lo aveva sentito anche il prof. Nicola Stje-pànovic di Storia noiosa ; il quale come il medico Andrèj Jefìmic, il protagonista della Camera JV. 6, aveva finito col vedere l’inutilità della scienza di fronte al mistero della vita e della morte; e sentiva salirsi le lacrime agli occhi, quando pensava al suo annientamento dopo la morte. Questo stesso problema assaliva l’anima di Cèchov, il quale, sebbene intellettualmente irretito nel positivismo predominante nel suo tempo, fa sentire in sé stesso una lotta sorda e inconfessata per uscire dall’osses-sionante vuoto in cui lo ha posto la ragione: e senza possibilità di uscita. Sia che egli ci rappresenti, con un senso di repulsione, la vita supina di certi esseri meccanici, senza un lampo di luce ideale, sia che ci faccia sentire l’angoscia degli sfortunati cercatori, sempre ci prospetta la tragedia di una vita concepita positivisticamente e ci rivela il suo dramma nascosto: quello di non poter credere. Si ricordi per esempio il grido finale delle