— 54 — Questa pretesa fede, non spezza dunque il cerchio ferreo del pessimismo cechoviano; essa ritorna come una vana e nostalgica invocazione, che i vinti cechoviani, non già cristianamente rassegnati, ma piegati da una dolorosa e forzata accettazione, ripetono a sé stessi come per sopire la propria sofferenza. 17 — GLI INFELICI CERCATORI Se Cèchov, nel suo mondo artistico, ci fa sentire come questa fede fosse illusoria, che significato ha essa per le sue creature? La risposta ce la dà Màsa nelle Tre sorelle: «Mi sembra che l’uomo debba avere una fede o cercarla, altrimenti la sua vita è muta, vuota... Vivere e non sapere perché volino le gru, perché nascano i bambini, perché nel cielo ci siano le stelle... O sapere perché si vive, oppure tutto è vuoto e senza valore ». Ecco: quando non c’è una fede a questo mondo, bisogna cercarla, perché la vita non debba naufragare; quella vita di cui la ragione distrugge il valore e il significato, ma a cui il sentimento si afferra con un amore tanto più grande, quanto più la vede sfuggire inime-diabilmente. In questo dualismo tra ragione e sentimento è spiegata la sfumatura, che crea un drammatico contrasto nella visione pessimistica delle creature cechoviane. Certo, nella rigida concezione di un filosofo, la negazione dovrebbe essere rigorosa, coerente, senza transazioni o abbandoni sentimentali. Ma le creature dell’artista non sono dei freddi intelletti ragionanti; in loro