— 67 — poseremo » che fa eco al dolore di zio Vànja, raccoglie tutte le intime battute di un dramma mentre 1’« odore di festa e di primavera » si fonde coll’affettuoso e ingenuo candore del diacono protagonista della novella La lettera, poiché, come in tutte le cose di Cèchov, le battute descrittive, anche delle bellezze naturali, non sono mai pezzi di bravura che stanno a sé e di cui si potrebbe fare a meno, ma sostanza della vicenda, dell’atmosfera, di cui sono diretta emanazione. i La misura dell’artista, non si lascia, rincére nemmeno di fronte alle bellezze naturali, per cui egli sente un amore così grande. Un amore che, tra le disperate lotte della vita, apre delle purissime pause di contemplazione in cui la natura brilla semplice e fresca anche se, per contrasto, l’anima ne debba soffrire. Gli occhi di tutti, di fronte alla natura sono un po’ come quelli del fanciullo Jegòruska, che, ancora ignaro della vita, sente il fremito dell’esistenza universale nelle lillacee lontananze della steppa e la gioia del sole, delle erbe, degli insetti, di tutti gli esseri mescolarsi a una pena ignota che viene chissà di dove (forse col canto stesso degli uccelli), come là nel raccolto camposanto le macchie bianche delle croci e dei monumenti si confondono coi fiori del ciliegio in un mare bianco (1). — Come si vede, Cèchov non si abbandona nemmeno qui a estetiche divagazioni e del resto, possiamo affermare che, tra i difetti dell’arte cechoviana, non sarà mai possibile comprendere la taccia d’estetismo. Certe compiacenze di esteta, di letterato, che (1) V. La steppa cit.