48 di parata, come del resto quello del Papa ; i< Ce ne vole (sic) cinquanta per cavar una rapa; se non vi è il sergente, non fanno niente» (1). Mia il Nostro non si fermò lungo tempo a Bucarest, perchè già nel maggio 1840 ne ripartì col giovane principe G. G., probabilmente uno della famiglia Ghica, per Parigi, attraverso Vienna e Baden-Baden. In questa ultima località sentì cantare della musica italiana da un certo « signor Bartolomeo », che sapeva a memoria tutte le opere del Rossini e del Bellini e le cantava « con indicibile dolcezza così che non ci saremmo mai separati da lui » (2). e vi ebbe un idillio con un’amazzone napoletana, di cui scrisse nel 1840 in una sua lettera (3) : « Stamattina, svegliandomi, come il famoso poeta inglese Milton, ho sentito d’aver fra le dita un foglietto su cui erano scritte le due strofe (sic) (4) che sono in testa alla lettera. Emilia, l’amazzone napoletana, con la quale spesso andavo a spasso a cavallo, me le aveva lasciate di soppiatto andandosene di qui prima di giorno. Così mi ha detto il garzone. Mi rincresce non sapere dove sia andata. E, vedi, si innamorò dei miei occhi. Così son fatte le Italiane : tutta la bellezza si concentra per loro negli occhi. Era tanto loquace e mi chiamava: « Don Giovanni dilettissimo! ». (1) Cfr. Ibidem, p. 64. (2) Cfr. Ìbidem, p. 85. (3) Cfr. Ibidem, p. 88. (4) I versi sono : « Occhi, stelle mortali, Ministri de’ miei mali ; Se chiusi mi occidete, Aperti cosa farete? »