J4 1741-46 « Li 3-4-5 (agosto). Essendo da molto tempo quiui un Certo Sigr. Anonimo così uoluto da per se stesso chiamarsi Vomo insigne e letterato in tutte Parti mediche, ed Eccellente historico, questo ha Sua Compagnia che fanno le Comedie in piaza, dispensa quatro Capi de suo Secreti che fanno delle maraui-gliose operationi. In questi giorni poi con sua diretione ui è l’opera formai in Palazo ». E’ facile che quest’opera venisse eseguita dagli scritturati stessi del Vitali, soliti a cantare gl’intermezzi. Per gli anni seguenti non si potrebbe parlare di altro teatro, che di quello della guerra, come già due secoli fa si diceva. I quattro cavalieri dell’Apocalisse galoppavano a briglia sciolta attraverso l’Europa; orrido spettacolo che si pagava con oro e sangue. Il primo di giugno del 1743, a suon di tamburo, fu bandito in Piazza che l’erario per le continue guerre era esausto e che ciascuno, nessuno eccettuato, neppure la « gentaglia », doveva dare alle casse dello Stato il 10% di quanto possedeva. E, siccome il tragico e il grottesco vanno a braccetto, nel testatico furono compresi perfino i lattanti! La richiesta non fu accolta con gran fervore, come si legge fra le ri^he del Diario dello Scussa. Si cavillò sull’interpretazione del decreto, si tergiversò; ma lo Stato continuò a spillar quattrini ancora per tre anni. Non è vero che le fiere cessassero nel 1742, come credette il Kandler; quella di novembre continuò, nonostante guerre e pestilenze, ma decadendo sempre; vi convenivano più contadini che mercanti. Non si trovò probabilmente, che per questi francasse la spesa di allestire uno spettacolo d’opera. Almeno, lo Scussa non ne menziona alcuno fino al 1747. Insomma tutti i divertimenti dei Triestini furono in questi anni malaugurati soltanto, sì e no, maschere e balli (spesso proibiti) e la caccia ai tori, anche quella « con poco gusto ». Vennero finalmente la pace di Dresda, la pace di Aquisgrana, firmate di mala voglia dei contendenti, vittoriosi e vinti, tutti con le ossa rotte e le tasche vuote. Ma libera ormai delle minacce della guerra, Maria Teresa volse ogni sua cura a riordinare il meccanismo dello Stato, a riformare giustizia e amministrazione, a dar sviluppo al commercio. Nonostante gl’insuccessi paterni nel voler fare una città mercantile di Trieste, non ostante l’opposizione di alcuni consiglieri, che ricordavano all’imperatrice le enormi somme già spese per dissuaderla di gettarne altre in « quella botta delle Danaidi »>