35» la parte del Console Postumio a gittar sulla mia testa il manto che aveva indosso, e soffocò in tal maniera il fuoco che già incominciava a incenerirmi. Ma che? Le mie mani, la mia faccia, il mio collo ai quali l’ardente colata acqua rasa appiccato avea l’incendio, non erano più cosa umana. Smorzato il fuoco m’assalì una convulsione generale così violenta, che l’anima mi balzava fuori del petto, e cercava coi gombiti (essendomi impossibile usar delle mani) di sostenermi. Accompagnato alla casa del Pellandi da una folla di popolo addolorato e stupito, non sapendo da che proceduto fosse il malanno, vi trovai il signor Barone tìrigido allora Governatore di Trieste; i due medici del paese Gobbis e Rondolini, e il chirurgo Bìdischini, e tanti altri.51 Tagliati i panni mezzi arsi che indossava, e seduto alla meglio, si cominciò dai medici a consultare in qual modo trattar si dovesse la orribile circostanza mia. Sosteneva il Gobbis che il pericolo dell’infiammazione (se pur non era anche fatta) esigeva copiosa cacciata di sangue. Sosteneva Rondolini invece, che essendo lo stato mio quello d’un uomo attaccato pericolosamente nel sistema nervoso, se mi si pungesse la vena, potrei forse morire convulso. In mezzo a sì funesta sciagura, non essendomisi per vero miracolo tolte le facoltà mentali, interrogato venni dal Gobbis se avessi ben compreso ciò che si opinava sul fatto mio. Avendo risposto a cenni che sì, m’eccitò a decidere con qualche cenno sicuro come la pensassi. Avendo riflettuto, che un’infiammazione m’avrebbe senza dubbio tolta la vita e ritenendo che la puntura della vena mi metteva al solo pericolo di rimanere storpio, m’appigliai a questo secondo partito; porsi il già fatto nudo mio braccio destro, e potei a stento proferir la parola, sangue. Cessarono di conseguenza i contrasti, e il chirurgo s’accinse all’operazione. Ma che? prima di vedere la sortita d’una sola goccia di sangue da qualche mia vena, ci volle di bello e di buono. Sortì finalmente il sangue: si cantò vittoria, e si proseguì interrottamente con altre cacciate di sangue finché si giudicò esser io fuori di pericolo. Mi dispenso dall’innuovare sul seguito del mio male, sulla cura benefica e tanto utile del bravo e umano chirurgo Bidischini, e sopra tutto sulla amorosa assistenza della signora Anna Fiorilli Pellandi da me per ogni titolo non mai a bastanza encomiata, che fu presente con tant’altri per sua sventura al fatto, corso avendo il pericolo perciò d’ammalarsi. Vive essa, e potrà, se si volesse, attestare sulla verità del fatto. Tutto fu eccellente e nel cuore e nell’opera de’ miei Assistenti. Mi limito quindi a dire che in meno d’un mese fui risanato, e restituito alla primitiva mia forma, e ritornar potei felicemente a Venezia »,52 La Pellandi ebbe la sua serata di beneficio il 31 maggio, « c on universale applauso », come dice un sonetto che le venne offerto « in segno di ammirazione sincera » da taluni che modestamente si qualificavano « Li conoscitori del vero merito ». Il poeta, scelto come portavoce, parla però per conto suo: