CAPITOLO I. 11690-17501 Il nuovo Palazzo di Città - Decadenza di Trieste - Si propone l’erezione d’un teatro - Talia nel Consiglio municipale - Tentativi di far risorgere la città - Le fiere. Il disastro colpì vivamente i Triestini, abituati a riguardare il Palazzo del Comune come il baluardo degli antichi diritti; e il dolore fu tanto più acerbo, in quanto che la sciagura appariva irreparabile, chè in seguito alle guerre, alle carestìe, le casse del Comune erano esauste. Ma l’ordine patrizio, che impersonava lo spirito conservativo, volle che il palazzo risorgesse, e per opera propria e con denaro proprio, a fin di poter dire a chi volesse dettar legge : « Qui sono in casa mia ». Il canonico don Bartolomeo Bajardi contribuì per primo con 1000 ducati; moralmente e materialmente concorsero specialmente il Capitano conte Marzio Strasoldo e Andrea Civrani. La fabbrica tuttavia fu spesso interrotta per mancanza di denaro e si protrasse per ben diciassette anni: il 2 luglio 1691, don Antonio Giuliani, decano della Cattedrale, benediceva la prima pietra al tiro d’un mortaretto, presente il Capitolo, il Magistrato, i nobili; e appena nel 1707 il palazzo si potè dir compiuto. S’ignora chi fosse l’architetto; la tradizione, con audace anacronismo, pretendeva fosse il Palladio. Certo non era opera spregevole; e maestoso e ben architettato appariva non solo ai Triestini, che mai avevano veduto alcunché di simile, ma ai viaggiatori che ancora verso la fine del secolo lo dicevano il più bel palazzo di Trieste.1 Secondo il Cratey costò solo lire 80.000. Lo vediamo nelle tempere