CAPITOLO II. il Teatro di S. Pietro, rocca d’italianità - Un governatore e un direttore di polizia singolari - I palchi e gli abbonati - Prerogative dei negozianti -Visite e conversazioni - Le serate di beneficio - Inconvenienti della platea - Il portinaio factotum - Il palcoscenico - Illuminazione mal odorante. Il Teatro di S. Pietro, battezzato all’uso veneto col nome della parrocchia, fu prettamente italiano tanto nella costruzione òhe nell’organizzazione, nelle consuetudini del pubblico come nelle manifestazioni artistiche. Lo notarono, con qualche meraviglia, i viaggiatori :1 essi ignoravano le continue e tenaci lotte sostenute contro le imposizioni del governo, il quale voleva pareggiare il teatro triestino a quelli delle altre provincie dell’impero, che sottostavano ai regolamenti emanati per i teatri di Vienna. Lotta non di aperta ribellione, ma di destreggiamenti, di stancheggio, d’accortezza nell’av-vantaggiarsi della diversità di costumanze sì cittadine che teatrali, ciò che permise al Teatro di evitare intromissioni poco gradite e di conservare il carattere nazionale ed anche una certa indipendenza. A Trieste, nonostante le prescrizioni, gli spettacoli cominciavano tardi, come in Italia; si davano le commedie all’improvviso, bandite dai teatri austriaci; si apriva il teatro anche nei giorni proibiti e si rappresentavano perfino lavori altrove condannati dalla censura. Il più strano è, dhe l’opposizione proveniva da chi, logicamente, avrebbe dovuto reprimerla: dal governatore e dal direttore di polizia. Il conte Carlo de Zinzendorf era un uomo d’idee liberali, grande ammiratore dell’Italia e, sopratutto, affezionatissimo a Trieste, dove visse e governò per sei anni. E non solo a proposito del teatro, ma di questioni commerciali o amministrative spesso sostenne gl’interessi