38* •che uno, il lunedì grasso, dato da don Bellando. La voga non scemò negli anni seguenti; ma nel 1740 sofferse una restrizione. «21.22.23 [gennaio].'Li balli publici sono stati prohibiti con le Maschere à mottivo di cose che non aueuano del honesto»; ma dopo una parentesi ammonitrice, le maschere furono riammesse. Lo Scussa ricorda in data 18 ottobre 1734: « Nel Palazo della Città doppo la Comedia fù fatta Festa di Ballo dalli Officiali delle Naui, e Gallere, e Soldatesca per esser giorno festivo di Sua Eccellenza Generale Gio Luca Pallauicini, alla qual Festa ui interuense anco la Nobiltà di Trieste con Sue Dame », ma di balli pubblici a pagamento dati nella Sala del Comune non fa cenno. L’uso fu introdotto più tardi, certo dagli impresari teatrali, che ne assunsero appalto assieme a quello del giuoco. A parte la domanda fatta nel 1753 per ottenere una maggior libertà, mancano notizie riguardo i balli al S. Pietro fino al 1757, nel quale anno furono proibiti i balli pubblici causa « le turbolenze di guerra ». Era la cosiddetta guerra dei sett’anni che cominciava e che fece replicare la proibizione negli anni seguenti.9 Ripresero i balli pubblici e privati e anche le maschere tornarono agli antichi tripudi. La città s’era ingrandita, la vita privata era andata trasformandosi, si cercava d’imitare le grandi città. Le classi più elevate, che sino allora erano state costrette a tenere in casa propria i balli, con molte incomodità e gravi dispendi, accolse con favore l’introduzione dei balli nobili, detti anche di fiorino dal prezzo d’ingresso, che doveva servire di barriera divisoria. Ciò fu certamente prima del 1766, perchè un regolamento di quell’anno per Gorizia conferma che restano « assegnato per li Balli pubblici li giorni di domenica e di giovedì e per li balli Nobili li giorni di Martedì ».10 La stessa disposizione valeva anche per Trieste. « I martedì, — scrive il Caprin, — erano destinati ai balli splendidi e contegnosi delle classi più alte. Si forniva la sala di mobiglia elegante; si raddoppiava la illuminazione con lampadari di legno dorato, sostituendo le candele di cera a quelle di sego; si decoravano le pareti con panni rossi; si improvvisavano macchie di piante vive »." Ad uno di questi balli, verso la fine del carnevale del 1772, Giacomo Casanova fece la conoscenza della famiglia Leo. Pietro de Leo era mascherato da Arlecchina e sua sorella Elcna da Arlecchino e la metamorfosi era talmente perfetta, che il vecchio donnaiolo ne rimase ingannato.12 Abbiamo due gustose descrizioni dei balli di petizza : « Questi sono per i bottegai, soldati, marinai e le loro belle, ma attirano molti curiosi d’altri ceti. I marinai co’ loro calzoni di bordo e cappelli di paglia sembrano altrettanto in maschera, come coloro che intervengono mascherati, e, sebbene vengano spesso dai loro magazzini (osterie) 13 ubbriachi, non si comportano peggio di certi calandrani nel nostio Ridotto. Oh, benedette! è l’espressione che usano verso le maschere femminili ».‘4 La seconda descrizione è posteriore e ci porta al ridotto del Teatro Nuovo, ma, mutato l’ambiente, non erano mutati i frequentatori : « Là un travasa-