245 Brigido e contro il Pittoni, imputati di violenze, di peculato, d’imbrogli e di altre illecite azioni. Fra altro dice: «I provventi del teatro, che non sono indifferenti, come ho sentito dire, o se li divide col Baron Pittoni, o li lascia a Pittoni, che in tutte le sue opere porta impresso il marchio di riprovazione. Avendo amendue dato ad intender alla Corte, che per mantenerlo splendido e luminoso sono necessari due mila fiorini annui, ancor questi furon esatti e divorati ».21 Sarebbe ozioso voler discutere l’accusa; certo, il Brigido ed il Pittoni agivano liberamente, senza sindacati e, d’altro canto, non godevano fama di virtuosa illibatezza. Possiamo però formarci un’idea della cassa teatrale, attraverso la relazione di due viaggiatori. Lo Jenne scriveva nel 1790: « L’introito annuale del teatro è di un 40/M. fiorini e la Corte vi aggiunge ogni anno f. 2000; esiste già un piccolo fondo, che dà interessi e che viene aumentato ancora tutti gli anni. La maggioranza [dei negozianti] ha i suoi palchetti in abbonamento, i quali costano, senza l’ingresso, circa 3-400 fiorini ». E il già citato Ròdell: « Il teatro possiede un buon fondo, perchè l’impresario, invece di dover pagare il permesso di dar qui spettacoli, riceve dalla Corte annualmente 2000 fiorini. All’incontro deve impegnarsi di non far pagare più di 17 soldi i biglietti d’ingresso. La stagione d’opera seria durante la Quaresima e dopo Pasqua è una speculazione personale deH’impresario; il quale, avendo in tali occasioni molte spese, raddoppia perciò i prezzi dei biglietti ».22 A proposito d’impresari, l’appalto del S. Pietro fu assunto nell’estate da Giuseppe Cavedaschi. La ragione del ritiro dello Zardon può cercarsi nelle ostilità che nel carnevale del 1791 erano scoppiate fra il teatro degli Obizzi ed il Nuovo di Padova. « Una società di sonatori padovani aveva ottenuto per cinque anni l’impresa del Nuovo, a dispetto dello Zardon, precedente impresario dello stesso teatro. Lo Zardon si era voluto vendicare di ciò, ed aveva assunto l’impresa del teatro di Vicenza e della stagione d’opera buffa all’Obizzi, escludendo i sonatori padovani ». Il Brunelli rinvenne nell’archivio del Teatro Verdi di Padova la prova che il marchese Tomaso degli Obizzi « coll’aiuto dell’impresario Zardon, aveva progettato un piano completo di concorrenza al teatro Nuovo, stipulando con detto impresario una scrittura privata in data 28 febbraio, dove lo Zardon s’impegnava ad aprire il vecchio teatro con uno spettacolo d’opera buffa nella stagione del Santo, riservata per con-