403 Del resto di un’altra commedia, recitata in Palazzo nel settembre del 1685 per festeggiare le vittorie delle armi imperiali sui Turchi, abbiamo notizie dal vicedomino Giovanni Baiardi, il quale dice ch’era « redicola » e fu recitata da « gioventù non esperta », senza indicarcene l’argomento.6 Se da un lato la Chiesa tuonava contro il teatro ed i comici, i gesuiti, accortamente pensavano ch’era un doppio vantaggio far d’un nemico un alleato. « E’ cosa notissima, — dice l’Hortis, — che nel sistema della educazione gesuitica, le rappresentazioni sceniche avevano gran parte, sì per educare i giovani ad un portamento dignitoso e spigliato ad un tempo, sì per allettamento de’ discepoli, de’ genitori di questi, e della città in cui si trovavano. I Gesuiti dicevano poi di seguire in questo un costume triestino, perchè è noto: « Musas tergestinas fuisse vocales et a theatris non abhorruisse ».’ « In principio le rappresentazioni fatte in latino potevano essere gustate da pochi, ma poiché si fecero nell’idioma nostro vi parteciparono molti, sicché nel 1739 i Gesuiti poterono edificare nel loro collegio un proprio teatrino ».s L’Hortis fa seguire la serie delle rappresentazioni eseguite nel collegio, ricavandole dagli annuali. Sono lavori scenici tratti dalla Bibbia, dal leggendario dei Santi, dalla storia; appartenendo alcuni al Teatro Gesuita, altri scritti appositamente, come La città di Trieste liberata dal timore de’ nemici dal nuovo Ercole (il marchese G. Luca Pallavicini?) S. Servolo martire concittadino de’ Triestini, S. Giusto un dì cittadino triestino, ora patrono nel cielo. L’elenco va fino al 1768; ma non è detto con ciò che le rappresentazioni cessassero. Anzi, non bastando il teatrino privato a capire tutti gli spettatori, il 5 settembre 1771, quei dilettanti passarono sulle scene del Teatro di S. Pietro. Il conte Carlo de Zinzendorf, che cinque anni più tardi fu nominato governatore di Trieste, e che allora era di passaggio per la nostra città, assistè alla rappresentazione. « C’étaient les élèves des Jesuites qui très bien mis jouoient Cyrus, cet enfant, qui fesoit ce rôle, paroit avoir de l’âme », scrive nel suo Diario. Le vicende del re persiano sembrano esser state il tema favorito dei tragediografi religiosi : c’è un Ciro scritto in latino dal padre gesuita Scipione Sgambati e voltato in italiano da un altro gesuita, Francesco Serafini; un altro del padre Simone Maria Poggi di Castelbolognese; un Ciro, re di Persia del P. Francesco Ulisse Ringhieri; un Ciro in Babilonia di Carlo Sanseverino della Compagnia di Gesù; Il giovane Ciro, rappresentazione scenica del P. Salvatore Riva. Ritengo che si tratti proprio di quest’ultima, nella quale il protagonista è un giovanetto. Del Riva potrebbero esser anche due altre rappresentazioni citate dall’Hortis, Idomeneo cacciato dal paterno regno (1760) e Giuseppe e i fratelli (1766). Oltre ai collegiali c’erano allora a Trieste i dilettanti nobili. Di questi ne parla il Casanova : « L’envie étant venue aux dames triestines d’essayer leurs talents à jouer la comédie française, elles me choisirent pour directeur et régulateur général. Je fus chargé, non seulement du choix des pièces, mais encore de celui des acteurs des deux sexes et de la distribution des rôles. Ce fut une besogne qui me donna des peines infinies et qui ne me valut point les plaisirs dont je m’étais flatté. Toutes mes actrices étant novices dans les jeux scéniques, je dus les dresser, courir journellement de l’une à l’autre pour leur