.557 gendo patenti, amuleti, coccarde, insegne per i pellegrini. Fu archivista, poeta, suonatore, romanziere; scrisse in prosa e in versi, in lingua e in dialetto, commedie, drammi, fiabe, libretti d’opera seria e buffa, con quella fecondità facilona dell’Avelloni e del Chiari, spronato più dalla fame che dalla fama. Ottantenne compose le Memorie storiche della vita di G. M. Toppa, viniziano, già primo protocollista di questo I. R. Tribunale criminale. Quel protocollista non sembra una dolorosa ironia, una velata protesta contro l’avidità dei capicomici e degli editori, per i quali egli aveva scritto ben 126 opere? 19 E’ appunto nelle Memorie, al cap. XI, dhe si legge il Tragico avvenimento a me accaduto in Trieste per sola disgrazia nell’anno 1800. Il libriccino è molto raro e trascrivo perciò l’intera narrazione: « Giuseppe Pellandi Capo comico, aveva scambiato dei personaggi nella sua Compagnia, e passava nell’estate dell’anno 1800 nel teatro di Trieste. Avendomi egli scritturato per quattro Composizioni da darsi nella successiva stagione dell’autunno e del carnovale in Venezia, m’invitò di recarmi a Trieste per veder la Compagnia, e regolarmi nello scrivere. Mi vi recai, e giunsi in quella città il dì 28 giugno di quell’anno. Accolto da quel Capo Comico e dalla sua famiglia colla più desiderabile cordialità, m’occupai nel giorno seguente a vedere il paese, e mi ridussi la sera al teatro onde conoscere il merito rispettivo degli Attori pei quali dovevo scrivere. Mi collocai fra l’ultimo panno e il muro, luogo attissimo per veder tutto, è guarantirsi dal pericolo d’una tenda che vi piombi sopra, o d’altro sinistro evento : ma « Vedi ’1 giudizio uman come spesso erra » Appunto ove non si presentava pericolo, io corsi pericolo di perdere niente meno che la vita. Ecco il fatto. Si rappresentavano i Baccanali di Roma/“ ed è noto a bastanza che termina quell’Àzione coll’incendio del bosco dei Baccanti. La inesattezza o l’avarizia consigliò d’usare acqua rasa anziché spirito di vino (come prescrivono i regolamenti teatrali) nell’acconciare le fiaccole destinate all’incendio. Una di esse mal preparata portò una striscia d’acqua rasa lungo il bastone in cima del quale stava la spugna che doveva accendersi, striscia che diventava un conduttore di fuoco, accesa che fosse la spugna. Fu appunto così. Discese il fuoco di quella malpreparata fiaccola lungo il bastone, e colui che lo impugnava sentendosi scottare la mano, gettò all’impazzata lungi da se la fiaccola: la spugna ardente volò sulla mia testa; attaccò fuoco alla mia parrucca, che cominciò ad ardere, e a produrre per maiorata conseguenza un’incendio della mia persona. Un moto naturale portar mi fece le mani sugli occhi, e balzai fuori sul palco scenico col fuoco in testa. Non è a dirsi lo scompiglio, le grida, e l’orrore che produsse la mia comparsa. Dio che mi volle salvo consigliò sul fatto l’Attore Androux che sosteneva