LA “MADONNA,, DI JACOPO SANSOVINO NELLA CHIESETTA. L’andito sotto il palco del Senato conduce a destra nella chiesetta e a sinistra nel contiguo locale, dove una porta del primo Cinquecento, tra due finestre ferrate, segna il vietato ingresso all’archivio segreto. Poiché tutto si scriveva, e tutto si doveva tacere da circa trecento intervenuti in Senato, era anzitutto necessario garantire che non parlassero le carte. Nella chiesetta, male ravvivata dalle settecentesche apoteosi del Ouarana (1720-1808) e dalle quadrature del Men-gozzi Colonna, l’altare freddamente classico di Vincenzo Scamozzi porta lo stemma del doge Cicogna (1585-1595). La nicchia sprofondata nel ben concordato succedere dei due archi concentrici, illuminata blandamente tra arco e arco, e il gruppo sansovinesco di Nostra Donna, di marmo patinato come avorio, mettono nel freddo ambiente una nota di religiosità severa, come conveniva ad uomini gravati da tremende responsabilità. La Madonna ordinata a Jacopo Sansovino per il maggiore portale di San Marco, fu ereditata incompiuta da Francesco suo figliuolo (1583), che non riuscendo, pur dopo litigi, a farla pagare dai Procuratori, la donò al Senato, compiacendosi, nella sua descrizione del Palazzo, di immaginarla nella sala del Gran Consiglio, che allora si ricostruiva. Invece trovò sede di maggior effetto qui. Non ha la toscana eleganza della « Madonna » dell’Arsenale o del gruppo della Loggetta, ma romana grandiosità, un poco sforzata nei putti fauneschi. Sonata la campana di terza, prima di entrare in Collegio, stavano qui in toghe scarlatte i Consiglieri e il Savio grande di settimana a sentire la messa. Alla destra dell’altare da una porticina segreta, che per la scala col «San Cristoforo» di Tiziano scende al suo appartamento, ecco apparire il Doge che, anche decrepito, si trascina qui all’inginocchiatoio per incominciare, pregando, il suo dovere di tutti i giorni.