LA SCALA DEI Ci ¡GANTI. Dall’andito, dall’ombra alla luce, la Scala appare portentosa d’effetto, vero trono per l’incoronazione dogale. Ne brillò la visione alla fantasia di Antonio Rizzo veronese, assunto nel 1483, dopo l’incendio, a rifare il Palazzo, e ancora nel 1491 sollecitato « a perseverare alla perfection de la fabrica, così per le figure come per la scala ». Lo scultore dell’« Èva » seppe con la sua arte nuova appagare l’occhio veneziano, abituato al fasto bizantino e gotico. Mantenne per la loggia la vigoria dell’arcata acuta, creando sotto, pel portico, i bellissimi pilastri ottagonali, stretti nelle forti cornici, le quali sopra gli archi perfetti, cingono i minori cerchi, misteriosi d’ombra. Dalla angustia del luogo egli qui trasse risorse bellissime, come l’invito dei tre gradini liberi, prima delle marmoree preziose balaustrate, e l’inoltrarsi degli ultimi sino sotto la loggia. Poiché l’asse del maggiore dei tre archi tondi, inseriti a dar alla scala in alto un rispondente prospetto, non coincideva con l’asse dell’androne verso la Porta della Carta, egli ricorse a ingegnosi ripieghi. Persino le due tribune avanzate, bellissime, rette dalle arcate con gii stemmi Barbarigo fra le angeliche magnifiche Vittorie, probabilmente furono aggiunte - la sinistra trenta centimetri più larga della destra - a soddisfar l’occhio. La rottura della cornice, ad inserire in alto (1554), dogando Francesco Venier, fra i suoi stemmi, il leone, ora rifatto, e l’ardimento d’ergere (1567) sulle minute grazie quattrocentesche i giganti -Marte pesante atleta, e Nettuno belva marina - fatti, già anni prima, trar fuori, dal Sansovino e dai suoi aiutanti, da due blocchi di marmo, senza preciso scopo per metterli poi, come si diceva, « dove meglio cascheranno » - non contraddicono alla sagacia dell’occhio veneziano, che sapeva le audacie necessarie a! grande effetto. 11 Palazzo non pare essere mai stato, nè poter stare, senza quella Scala con quei Giganti.