LA SALA DEL CONSIGLIO DE! DIECI. In mezzo a tanto luminoso fasto, regnava qui serena la ragione di Stato. Nominati come Camera di giustizia provvisoria nel 1310, dopo la congiura di Baiamonte Tiepolo, i Dicci erano stati ritenuti poi sempre necessari, e il Gran Consiglio li aveva di anno in anno, pur talvolta non senza contrasto, rinnovati. In ogni caso grave, presieduti dalla Signoria, essi agivano con poteri illimitati, sostituendosi a tutte le altre magistrature, persino al Senato. Erano terribili, special-mente contro i Nobili ambiziosi e prevaricatori. Una loro parola troncava ogni lite. Si racconta che i Da Ponte e i Canal contendessero un giorno aspramente in Senato, dicendo gli ultimi che i canali erano esistiti prima dei ponti, e rispondendo gli altri che i ponti passavan sopra i canali. Ad entrambi fecero sapere i Dieci che essi avevano potere di colmar subito i canali e demolire i ponti, e la contesa cessò. Tante volontà, tante ambizioni dovevano essere trattenute da un comune vincolo di soggezione, mentre lo scopo santo era quello di mantener la libertà regale di Venezia. E qui essa trionfa, insieme con la regalità del « Cristo adorato dai Re Magi » dell’Aliense (1556-1620), nella leggenda del doge Ziani (1172-1178) che riceve dal papa l'anello e gli altri attributi regali. Leandro Da Ponte (1557-1622) rinnova con spregiudicata modernità quella leggenda ponendosi tra i canonici a reggere l’ombrello e introducendo la moderna artiglieria tra gli armigeri e il cavallo galoppante. E poiché più della leggenda valevano le sanzioni della storia recente, ecco ritratta qui di contro da Marco Vecellio (1545-1611) la pace di Bologna (1529), con Carlo V e Clemente VII, e gli oratori veneziani in manti d’oro. Amarissima pace per la libertà italiana! Ma Venezia, dopo le atroci traversie della Lega di Cambrai, ne usciva salva, libera, regale: il solo Stato ancora italiano in Italia.