LA SALA DELLE QUATTRO PORTE.
  Di quattro porte tre dovevano stare chiuse o ben guardate, perchè una introduceva aH’Anticollegio, e quind: al Collegio, dove i Savi grandi reggevano lo Stato, l’altra al segretissimo Senato, la terza al Supremo Consiglio dei Dieci. L’alto ufficio della porta era qui perciò onorato con magnificenza architettonica anche prima dell’incendio del 1574; infatti si ricordano e si rimpiangono distrutte allora « le porte di marmo pario colonnate e figurate con grande maestria ». Andrea Palladio, avute otto colonne di preziosa materia, le collocò con classica euritmia nelle porte nuove e in tutto l’ambiente volle trionfasse il suo ideale di rinnovata romanità. « Il soffitto - scrive Francesco Sansovino - è alla romana con ori, stucchi, pitture; il suo comparto fu di mano di Andrea Palladio; gli stucchi, del Bombarda; le pitture, di Jacopo Tintoretto, e la invenzione di colui che scrive». L’invenzione allegorica che possiamo leggere stampata è complicatissima e bislacca come vedremo più avanti. Tuttavia il Tintoretto in qualche figura sa vestirla di bella ingenua verità; e il Bombarda, stuccatore cremonese, tutta la ravviva e la fa sua in quelle sue divinità erte e fitte nei triangoli fra vela e vela, imponentissime nel levigato biancore dello stucco impreziosito dall’oro. Tanto più sulle pareti era necessario trionfasse il colore; ed ecco il « Ricevimento di Enrico 111 » del Vicentino, l'altro, di Carletto Caliari, degli ambasciatori persiani che portano al doge Cicogna i ricami e i tappeti oggi conservati nel tesoro di San Marco, e la scena degli inviati tedeschi che ricevono gli statuti veneziani.
  Il doge Marino Grimani (1595-1605) completò l’altra parete col suo quadro votivo, donò quello del suo avo «Antonio Grimani davanti alla Fede» di Tiziano, e aggiunse, del suo prediletto pittore Giovanni Contarini (1549-1604), la « Presa di Verona » (1439) col Gattamelata a cavallo. Così la sala fu compiutamente adorna.