" GIUNONE E VENEZIA „, DEL VERONESE, NEL SOFFITTO DEL CONSIGLIO DEI DIECI. La bellissima pittura è, come tutte le giovanili di Paolo, di un colorito morbido delizioso; sinfonia di azzurro e oro nella bionda matronale Giunone, e di bianco diffuso sul rosa nella possente Venezia, viva e palpitante, con un braccio e con l’ampia gola che proprio si levano e girano nella luce. È stata da poco donata dal Belgio vittorioso e rimessa qui nel fasto dell’antico oro. Napoleone l’aveva mandata a Bruxelles a rallegrare quella Corte novella, come si portò al Louvre, e vi è rimasto, il grande tondo centrale dello splendido soffitto, malamente ora sostituito da una copia. In esso Giove fulmina la ribellione, la falsificazione, la sodomia e il tradimento: delitti deferiti alla severità del gravissimo magistrato dei Dieci. Perciò solo qui anche quella tela sarebbe significativa se riprendesse il suo posto integrando la complessa allegoria che, a mezzo il Cinquecento, inventò per questo soffitto l’archeologo dottissimo Daniele Barbaro, patriarca d’Aqui-leja. Prediletto naturalmente vi è il mito di Venere nata dal mare, dominatrice del mare, come trasparente e suggestiva allegoria per Venezia. Però, quando leggiamo, ad esempio, nel libro di Francesco Sansovino, che nell’isola di Candia era la tomba di Giove e che quella di Venere era stata rinvenuta a Cipro « da Oiammattio Bembo che vi fu in reggimento » non sappiamo più se questo nuovo paganesimo fosse solo un linguaggio figurato, o non piuttosto lo si ritenesse storica verità, umana o demoniaca. I quattro chiaroscuri bellissimi, qui sul soffitto perfetto in ogni particolare, raffiguranti i quattro regni: Venezia col leone, la Morea con le navi, e - ben degni, per bellezza, di Paolo - Candia con l’aquila di Giove, e Cipro con le colombe di Venere, bene ci spiegano perchè con tanta confidenza i Veneziani di allora trattassero gli Dei. Erano i santi protettori delle loro grandi isole sul mare azzurro dell’EIlade.