L’ “ INDUSTRIA ,,, DI PAOLO VERONESE, NEL SOFFITTO DEL COLLEGIO. Nel 1577 si donavano a Francesco Bello intagliatore, come leggiamo nei libri di cassa, venti ducavi, avendo Andrea Palladio, Zuananton Rusconi e Antonio da Ponte lodato il suo lavoro del soffitto d’oro del Collegio, come migliore di ogni altro. Plaudiva certamente anche Paolo che dal 1575, compiute le sue « Cene » e giunto all’apice dell’arte, attendeva alle bellissime pitture del soffitto e sentiva che in quelle fastose ghirlande d’oro esse sarebbero valse di più, come gemme in anello. Insieme con tanti artisti, anche un letterato deve aver adoperato qui il sottile ingegno a trovar soggetti tratti dalle consuete allocuzioni dogali. Venezia, sicura in terra e in mare, voleva con antica fede, per sè e per il mondo, giustizia e pace. Ma poiché nel comparto risultavano, oltre quelli pei chiaroscuri, otto rettangoli, nei quali Paolo vedeva star bene una sola figura seduta, con qualche motivo di architettura sul cielo, e ricercava gli atti più belli e pronti delle sue modelle e su quelle nude stendeva le stoffe lussuose in grandiosi partiti di pieghe, il letterato gli trovò i simboli, taluni palesi, altri, come era meglio, un po’ occulti, per fare, di queste otto figure, otto virtù. 11 cane per la matronale Fedeltà ; la pecorella per la rustica Mansuetudine che alza le braccia e chiama; per la Semplicità, le colombe; per l’arcigna Vigilanza, la gru; per la Moderazione, l’aquila che ha strappate le penne; la Felicità, col caduceo portentoso; la Ricompensa avvolta in sete come un'orientale col bacile colmo di onori e il dado della sorte. Così giungiamo a questa bellissima, che lo spiegator di immagini chiama Dialettica, scrutante sottigliezze e raggiri, e che il popolo vuole sia invece l’industre merlettaia niuranese a maniche rimboccate che leva contro il sole, e ammira, l’opera sua di ragno. Poco importa il simbolo; a noi basta sia bella, e bella la fece Paolo.