“IL DOOE SEBASTIANO VENIER DAVANTI AL SALVATORE DI PAOLO VERONESE. Paolo sognò d’essere in paradiso, dove la luce vale mille doppi la nostra e il colore è perfetta letizia, e là vide e ritrasse l’eroe della patria e della fede. L’arte sublima, sopra il trono del Collegio, il consueto quadro votivo dell’elezione del Doge, ne fa la glorificazione del valore. Paolo Io dipinse probabilmente nei pochi mesi (giugno 1577-marzo 1578) del dogado del Venier e ritrasse il Doge vivo, fierissimo, ardente, onorato da San Marco, dalla bianca Fede e da Santa Venezia, davanti al leone furibondo. Il Provveditore generale Andrea Barbarigo, glorificato dalla morte eroica, sta dietro in piedi fra i Santi con lo stendardo crociato. Appare fra gli angeli il Redentore, supplicato contro la peste tremenda. La portentosa purità del colore si riflette iridata nel suo grande globo, posto, quasi paradisiaca similitudine dantesca, a paragone di aeree divine trasparenze. Vivono sotto, sul mare, luminose di gloria, le navi; traspaiono per tutto con le bandiere di porpora vittoriose. Lepanto! Persino i Turchi applaudirono il Venier eletto doge a ottantadue anni. Santa Giustina che ricorre il 7 ottobre, dì della vittoria (1571), gli porta il gemmato berretto, ma egli non se ne fregia perchè pur col manto d’oro è qui ritratto ancora come Generale di mare, con l’armatura che aveva nella battaglia e che, richiesta in dono già nel 1577 dagli Arciduchi d’Austria, è a Vienna nell’armeria. In parecchi Dogi, canuti uomini di mare, ridotti ad aver qui la sola parvenza del potere, la tela di Paolo doveva suscitare fremiti di gloria e la brama di essere, come potevano per diritto, a capo della flotta, re armati sul mare. Volle esserlo ad ottanta anni il doge Francesco Erizzo (1631-1645) e assunse il comando; lo volle il doge Francesco Morosini (1688-1694), il Peloponnesiaco vittorioso.