LA SUPREMA STANZA DE! TRE CAPI DE! DIECI. L’ambiente è rimesso come in antico con armadi, cantonali e sedili profilati d’oro; ma ai cuoi dorati, che ancor fasciano il classico camino del Cattaneo (1554), sormontato dall’intaglio settecentesco della Venezia allegorica, è stato sostituito il chiesastico damasco rosso. 1 quadri dei Bassano sulle porte, il fiammingo « Cristo fra i giudei », ora attribuito a Quentin Metsys, e la devota Madonnina del Boccaccino: tutto è come nell’ultimo Settecento. Sotto la «Pietà» di Antonello da Saliba, restituitaci da Vienna, andrebbe rimesso il tavolo con le tre poltrone famose. Si diceva queste avessero il potere di trasformare il più bonario gentiluomo in un giudice implacabile, che, senza interrogare, condannava il reo e lo teneva - Casanova informi - proprio lì sopra, nei Piombi, a rodere, come un grosso topo, le travi. I Tre Capi, sorteggiati ogni mese fra i Dieci, che si rinnovavano annualmente, passavano di qui sempre nuovi e diversi, e mentre, per i reati comuni, erano di solito giudici mitissimi, per la ragione di Stato diventavano qui il terrore della Nobiltà intrigante e prepotente e dei falsari di monete e di spiriti. Tutte le pitture del soffitto li incitavano a colpire, come l’angelo dello Zelotti, in mezzo, colpisce il mostro orrendo. Abbiamo qui anche due tele di Paolo Veronese col « Falsario punito » e il « Merito sollevato dalla Virtù », dove si ammira un suo giovanile freschissimo autoritratto. Pochi scalini mettevano di qui alla segreta stanza degli Inquisitori, ora vuota; e chi, come il Cicogna al principio dell’Ottocento, narrava di averla veduta ancora fasciata di cuoi dorati opachi, scrittoio e seggioloni di noce nera, soffitto dorato col « Figliuol prodigo » del Tintoretto, oscurato dalla vecchiezza, mostrava averne avuta un’impressione cupa, sinistra. Forse era cupo sopratutto il ricordo del Foscarini, calunniato come spia dell’ambasciatore di Spagna (1627), tradotto qui e fatto impiccare innocente.