la diga scendano a picco sul mare, e concedano un « angolo morto », oscuro, nel quale scivolare con tutto l’apparecchio. Il Tenente Medico Paolucci, avanzando lungo l’ostruzione a forza di braccia e con i piedi immobili, per timore che la fosforescenza tradisca la sua presenza, riscontra con grande gioia che la roccia è a picco sul mare. Intanto la mezzanotte è già passata. A nuoto lentissimo, quasi completamente immersi, scivolano lungo la diga per una cinquantina di metri; qui è necessaria una nuova ispezione. 11 Tenente Paolucci, avanzando lentamente, aggrappato colle mani alla roccia, arriva fino alla punta della diga. Sente il passo della sentinella: si ferma un istante, ma poi non ode più nulla. Arriva sulla ostruzione che chiude la porta. E fatta di tante lunghe travi galleggianti, riunite tra loro così da formare due file intersecate. Da queste travi escono fuori dei bastoni appuntiti di acciaio lunghi circa mezzo metro e con la punta rivolta verso l’esterno. All’altra estremità vede un guardaporto fermo e una lanterna rossa. Ritorna lentamente indietro e trova l’ingegnere meravigliato [ter la lunga attesa di circa mezz’ora. Gli comunica di aver visto la sentinella, il guardaporto e che la corrente uscente dal porto è forte; consiglia di andare avanti. E l’una del 1 Novembre. Ma appena oltrepassata la diga, la corrente trascina fuori l’apparecchio. L’ora incalza, il timore di non arrivare a tempo li costringe a prendere una decisione grave: mettono in azione il motore e dopo una larga circonvoluzione, per girare l’apparecchio, dirigono verso il centro della porta. Si aspettano una fucilata dalla sentinella, ma non la vedono più. È la bella Stella d’Italia che li protegge. Pioviggina, forse la sentinella è al riparo. Con tutto il peso dei loro corpi calcano fortemente l’apparecchio, e a poco a poco riescono a farlo passare sotto le ostruzioni, mentre lo seguono scavalcando le travi ad una ad una. Due grosse barche a vapore sono ferme all’imboccatura, ma passano inosservati seguendo nell’interno, lungo la diga, la stessa via tenuta all’esterno. Evitano un altro posto di guardia e si dirigono sulle ostruzioni retali che incontrano piuttosto presto. La bussola, che l'ingegnere ha con sè, non funziona perchè piena d’acqua, cosicché quando, oltrepassate le tre prime ostruzioni retali credono di aver superato finalmente ogni ostacolo, percorse poche diecine di metri, trovano altre tre linee di ostruzioni, ma, mentre stanno per raggiungere la seconda, vedono a pochi metri da loro un battello e su questo un’ombra; forse l’uomo di guardia. Si fermano, e intanto la corrente uscente dal porto gira l’apparecchio; il Tenente Paolucci pron- tamente si reca a nuoto sulla linea d’ostruzione, e di là, con una corda, tira l’apparecchio per raddrizzarlo. Ci riescono; ma mentre stanno per raggiungere la méta, la corrente capovolge l’ordigno. Data la presenza del battello il momento è critico; con poderosi sforzi riescono finalmente a raddrizzarlo, e nell’istante in cui la direzione è giusta, mettono in moto e passano trionfalmente anche la settima e ultima ostruzione. Sono le tre, e per quest’ora dovevano attaccare le prime due navi ed essere già di ritorno al largo dove il motoscafo li attende, dove dei cuori fedeli e generosi trepidano per loro, nell’angoscia dell’attesa. L’ingegnere constata che delle 205 atmosfere di pressione iniziali hanno consumato oltre la metà; decidono di rinunziare al ritorno e di proseguire invece fino all’estremo del porto per attaccare la nave Ammiraglia. La disposizione delle navi austriache all’ancora nel porto di Pola era la seguente: «Zryni», «Ra-detzky», «Franz Ferdinand» (Predreadnoughts): «Prinz Eugen», «Tegetthoff» e «Viribus Unitis» ( Superdreadnoughts). Dirigono dunque verso le unità che sono più lontane, con l’intenzione di attaccarne due. navigando con una certa celerità verso la méta stabilita, sotto la pioggia che infuria unita a grandine. Le «Radetzky» sono completamente oscurate, ma le Superdreadnoughts sono illuminate a luce bianca. Passano le tre e mezzo, passano le quattro e non sono ancora all’altezza delle «Viribus», al livello delle (piali arrivano solamente alle 4.15. La corrente continua ancora ad uscire; pensano allora di mettersi a monte della corrente, ad un centinaio di metri dalla prua della nave Ammiraglia «Viribus Unitis», e lì fermare l’apparecchio, immergendolo il più possibile e farsi trascinare dalla corrente fin sotto il bordo. Ma essa li devia e devono ritentare la prova. Finalmente, superate impreviste difficoltà, riescono con mirabile fermezza ad attaccare la torpedine allo scafo dell’Ammiraglia austriaca. Sono le 5.35; all’orizzonte intanto si disegna la prima ed incerta luce dell’alba. All’improvviso dalla coffa della «Viribus» un riflettore li illumina in pieno. Sono scoperti. Occorre distruggere l’apparecchio. Aprono le valvole di immersione della « Mignatta » : il Tenente Paolucci attiva la seconda torpedine e dà il moto all’apparecchio, che navigando va ad arenarsi in una insenatura, ove, insieme con vecchie navi da battaglia, si trova il grande transatlantico «Wien», che affonderà poco dopo. Intanto una barca a motore si dirige verso di loro, che sono ancora illuminati dal riflettore. « Wer da? » - « I-TALIENISCHE Offizieren » - rispondono. Li prendono e li portano a bordo, facendoli — 442 —