Venezia cercava di strappare alle dominazioni straniere attraverso aspre lotte ed azioni diplomatiche. La base del diritto applicato è veneta od è emanazione d’un ampio proprio « jus statuendi ». Veneto deve essere, possibilmente in ogni caso, il diritto che si deve applicare al veneziano; non sempre leggi scritte, ma spessissimo l’applicazione della consuetudine (maior et utilior statuto, diceva Bertaldo) per parte del magistrato veneto che, per la consacrazione del principio actor sequitur forum rei, è tratto a giudicare gravi contese in cui il reo sia veneziano (1). Si vuole diritto veneto tra veneti e si chiede una vasta applicazione del diritto veneto quando il reo è veneziano; veneziano giudicato con criterio di serena giustizia, tenendo ben presenti gli interessi dello straniero che si debbono tutelare aequa lance. La tumultuosa vita animava poi giudizi commerciali celeri, improntati ad un largo senso di equità e di opportunità piuttosto che ad un senso di stretta giustizia legale, che veniva subordinata alla giustizia sostanziale; d’altronde, processi complicati non si potevano porre in essere per mancanza di mezzi umani e forse proprio di tempo (2). Ma, più che dall’applicazione del diritto nazionale, la guarentigia più alta è costituita dal giudice nazionale, il quale deve essere munito di un acuto senso equitativo capace di aderire alla più diversa vita, non limitata da ristretti orizzonti, che le leggi non sempre possono e debbono prevedere; solo, infatti, attraverso un vasto margine di potere riservato al giudice, guidato da poche semplici norme scritte o consuetudinarie, il diritto veneto può vittoriosamente conservarsi sotto i più diversi climi e nei più disparati confronti. Nelle colonie il giudice diveniva necessariamente un secondo legislatore; la sua nomina veniva riservata ai veneti, salvo qualche volta ad essere rimessa in subordine al potere locale (3). Ma il po- (1) Alessio Comneno nel 1200 stabilisce: « ...quod Graeco quidem, circa Veneticum agente in causa pecuniali, a Legato Venetiae, qui tunc erit in magna urbe judicium fieri debeat. Venetico vero circa Graecum agente, si quidem qui tunc fuerit Cancellarius viae in magna urbe iverit, apud eum causa moveri et judicari debeat... » (cit. in Marin). (2) L’equilibrio e la giustizia del foro veneto sono garantiti da una corrispondente retta amministrazione nel foro locale, per cui un torto commesso si ripercuote nei giu-dizii (locali) in cui attore è il veneziano. (3) Così nel trattato con Isone, Re di Armenia (1245): «Se vi sarà discordia o contesa tra veneto e veneto sceglierà la Corte onesta persona della loro nazione, che decida la questione e li torni in concordia... Se poi nella discordia o questione insorta tra Veneto e Veneto non si trovasse Veneto che giudicarla o conciliarla volesse, sia giudice e compositor l’Arcivescovo » (cit. in Marin). In un patto col Re di Tunisi (in Dipi. Ven. Lev.) si legge: « Item ponant consules ad jus et justitiam faciendas inter eos in omnibus dictis terris, et scribas ad rationem in