— 193 — fortuna nel tempo ad un moderato influsso ambientale, il quale opera soprattutto nelle terre più che tra i limiti cittadini! L’uomo coloniale italiano del Medioevo, il veneziano, il genovese, il pisano, l’amalfitano, come l’inglese d’oggi, si corazzavano mirabilmente da questo influsso. Il palazzo istoriato del patrizio veneto non mutava le sue linee sotto altri orizzonti; era immutabile, come è immutabile, possibilmente, 1’« home » dell’inglese sotto tutti gli orizzonti. L’esperienza veneziana ci ha dato l’esempio cittadino ed un ben inteso separatismo dettando il grande principio che il colono tanto più deve vivere la vita della città madre, quanto più egli è distante da essa. Perchè, se Venezia, è vero, non ebbe a trovarsi di fronte al problema di organizzare grandi masse di popoli viventi sulla terra, è pur vero che una azione in grande stile la Repubblica ebbe a esercitare per saldare i coloni a centri d’integra e massima vita veneziana. In fondo, il vero uomo coloniale è un cittadino della metropoli, deve rimanere tale, deve sentire che tutta la sua vita non si stacca da quella dei cittadini della patria d’origine, legati a lui da uno stesso interesse, viventi come lui su una medesima base ideale e giuridica; deve essere alimentato da un solo sistema, deve essere innalzato, quasi che la vita metropolitana si debba percuotere in lui più vibrante per equilibrare il procedere dell’influsso ambientale esterno. La durata e la resistenza di un impero coloniale è pure qui che in massima parte si misurano. Qui pure si misura la durata, che non è a credersi sia più lunga e più favorita nell’epoca moderna. Se più celeri e più intensi sono i mezzi di comunicazione tra metropoli e colonie, i nuclei metropolitani sono chiamati talora infatti a fronteggiare forze impetuose entro l’ambito delle colonie che nell’epoca antica non esistevano. is