— 218 — Il confronto insomma sembrava questione interna della terra lontana e, quando anche attuato con la metropoli, esso era saltuario e temporaneo. Le rimesse degli emigrati non erano il riflesso diretto di una attività metropolitana, di una potente forza associata operante nei limiti del territorio italiano, ma il riflesso di un lavoro isolato che si svolgeva nelle terre d’oltremare. Il confronto non era attuato, come in Venezia antica, con l’apporto delle attività di una massa di cittadini alla quale si aggiungevano altre popolazioni stese lungo i margini del corso marino, ma con forze isolate ed elementi staccati. Il sistema non poteva per certo favorire forti accentramenti capitalistici, considerati quale riflesso dell’accentramento del lavoro. Forse nessun popolo ha dato quanto l’italiano degli individui che, isolati e con un confronto semplicemente qualitativo, hanno saputo produrre ingenti patrimoni. Ma questi non bastavano per tener testa ai larghi accentramenti industriali e monetari stranieri. In proporzione, anche i più ingenti patrimoni prodotti dall’attività dell’italiano non potevano paragonarsi ai patrimoni in progressivo aumento delle già potenti società legate all’industria. L’eccesso individualistico non si dimostrava, pure sotto questo aspetto, capace di favorire un predominio economico in colonia, tanto più poi quando esso nelle colonie a rada popolazione slegava gli individui, combattendo quella collaborazione salda e altrove sentita che costituiva un fattore indispensabile per ben operare con un minimo di profitto. L’individualismo economico, mirabile per condurre, inadatto per operare nel tempo e con profitto, aveva dunque troppo brevi confini. Il colono metropolitano, animato da questa idea, costituiva un ben piccolo interesse economico per le popolazioni indigene che dovevano essere sottoposte ad un regime giuridico di controllo. Senza un massimo senso sociale, senza un fraterno senso di collaborazione e di aiuto, difficile era strappare quella vittoria economica che favoriva anche la costruzione degli imperi. A poco a poco doveva farsi strada la tendenza unitaria in tutta la penisola italiana. Ma io non so se ancóra si riesca a comprendere il difetto, il travaglio, il tormento della prima società italiana che si affacciava sull’orizzonte coloniale e la gravità dello sforzo al quale si doveva sottoporre la nazione per conquistare e soprattutto mantenere un qualsiasi possedimento d’oltremare. Qualcuno potrebbe dire che 1 Italia voleva andare disgregata in colonia, senza un minimo aiuto economico, senza una forte unità metropolitana, senza vincere una facile battaglia economica, ma vincendo e conservando con le armi.