— 203 — I veneziani antichi avevano grave preoccupazione per tutti gli ostacoli che potessero arginare e frenare la corrente del traffico, non volevano dighe che qua e là arrestassero lo scorrere impetuoso di questo fiume, non volevano diversioni che portassero nocumento all’imponente corso centrale del traffico, neppure nella metropoli la quale non rappresentava un semplice centro statico di raccolta. La lite tra il mercante d’Oriente e quello veneziano tagliava una radice destinata ad alimentare la pianta coloniale. Bisognava riattaccare, con un celere giudizio, presto e bene, i due canali staccati. Non è strano che la celerità dei giudizi veneziani si cominci ad arrestare dopo il ’600, quando lo scambio naturalmente decresce. I magistrati nel ’600 denotano questo fatto provvedendo con una azione sollecita specie nelle terre e nei possedimenti d’oltremare. Ma la celerità non doveva significare ingiustizia. Non era ignoto infatti ai veneziani che, se la lunghezza di una lite costituiva la causa di un persistente distacco, che essi volevano evitare, l’ingiustizia significava un persistente attrito e forse un distacco irreparabile. I veneziani si dimostravano giudici d’equità, solleciti a smuovere dagli ostacoli la corrente degli affari di una società mobilissima. Pure il veneziano del ’600 stupisce nel vedere la lunghezza delle liti che inceppava stranamente la ruota del commercio. L’ambasciatore Alvise Contarmi scriveva nel 1640 da Costantinopoli : « nessun atto di carità può usarsi verso li sudditi quanto l’andar scemando lunghezze, distruggere cavilli e castigar anco quelli, che il falso per il vero, anzi ben spesso contro il fatto medesimo di sostener non si vergognano » (1). Ma, si badi, i veneziani non furono precipitosi. Essi potevano fare un confronto, interessante per noi, con i metodi della procedura ottomana, che si rivelava estremamente sollecita per non dire fulminea. L’impero ottomano era infatti dominato dai metodi della milizia nell’amministrazione della giustizia. Alvise Contarini afferma che « li giudicii poi che da questa gente (turca) derivano sono tutti sommari e deffinitivi, senza luogo a reppliche, ad appellationi » (2). Il Valier nota poi che in Turchia « la maniera del giudicare è molto breve, et sumaria, anzi più tosto instante, et momentanea; contra gli absenti non si può mai fare sentenza alcuna; onde se il Reo fugge o il debitor s’asconde, non si essercita alcun atto contra di loro; ma con li presenti chi è accusato per delitto, o richiesto per debito, (1) Arch. Stato Venezia, Relazioni, b. 7, Rei. 1640 da Costantinopoli. (2) Rei. cit.