— 124 — cittadini, Venezia applichi quel sistema di libertà e di larga autonomia giuridica che un tempo caratterizzava la vita dei primissimi nuclei veneziani, ai quali si concedeva una massima libertà d’azione, risolventesi in un’autonomia che, a sua volta, non era separazione dalla metropoli ma continuazione della metropoli. In tutto ciò si esige l’immanenza della metropoli, perchè la vita della metropoli e quella delle città si trovano connesse, nè vi debbono essere ostacoli che possano influire negativamente sulla loro immediata unione. In pieno ’500, i Rettori veneziani sono quasi magistrati di prima istanza. Le loro decisioni e la loro opera vengono controllate nella metropoli, sempre suprema arbitra delle questioni coloniali, decise dai massimi organi dello Stato. Ed è una cura costante quella di Venezia, intenta ad attuare la immediata partecipazione della metropoli nelle colonie, impedendo indebiti gravami e forme di oppressioni per parte dei suoi ufficiali. Sotto tale aspetto questa adesione della metropoli alla vita cittadina coloniale si manifesta sostanzialmente in due modi : Con il riconoscimento del diritto di adire le supreme autorità veneziane nella metropoli. Con il controllo del governo coloniale in loco, controllo esercitato da apposite magistrature. Per quest’ultimo riflesso possiamo qui ricordare la famosa magistratura dei Sindici di Levante, ai quali si riferisce un interessante documento del 1610 di cui ora facciamo menzione (1). « Fu sempre stimata... — in esso si afferma — il tener ben affetti, et consolati li sudditi con paterna protezione, sollevandoli dalle estorsioni, et da ogni indebito gravame, et tanto maggiormente, dove per Sito, per Confine, et per altre cause concorrono considerazioni di somma qualità, come sono le isole nostre in Levante, et specialmente il Regno di Candia... ». A questo scopo, scopo che non si raggiunge se non con un severo, immediato e persistente controllo, vengono nominati i Sindici, obbligati ad accettare la carica loro imposta (2), a partire quando il Consiglio lo crede opportuno ed a rimanere nell’ufficio per due anni o più, trattenendosi durevolmente nei luoghi designati per poter esercitare una efficace opera di sorveglianza. È stabilito ch’essi debbano permanere a Corfù tre mesi, tre mesi a Zante, tre nell’isola di Cefalonia, un congruo periodo di tempo a (1) Areh. Stato Venezia, Comp. leggi, Corfù, carta 619, 19 febbraio 1610, deliberazione in Pregadi. (2) « non possano refudar sotto tutte le pene statuite contro quelli che refudassero Avogadori di Comun ».